La storia della Levodopa. Un vero thriller che dura da 110 anni.

La Levodopa (o L-Dopa) è di fatto il principio cardine nel trattamento dei sintomi del Parkinson.  La terminolmogia medica lo definisce “golden standard” o farmaco di prima scelta. 

La storia della L-Dopa è ricca di coincidenze e colpi di scena, incredibilmente per tanti anni è stata una medicina “orfana di patologia”, nel senso che chi l’aveva sintetizzata non sapeva come impiegarla, si era capito che per le sue peculiari caratteristiche poteva essere molto utile ma non si capiva il reale campo di applicazione.

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Le ricerche di Torquato Torquati, un farmacologo di Sassari, sulla Vicia Faba (una fava verde) nel 1913 lo porteranno ad identificare una strana sostanza contenente azoto. In quegli stessi anni il dott. Guggenheim che lavorava per una società farmaceutica svizzera Hoffman-La Roche, all’epoca una piccola azienda da 150 dipendenti, venne a conoscenza dei risultati di Torquati e grazie ai fondi messi a disposizione dall’azienda portò avanti le ricerche arrivando ad identificare la Levodopa vegetale presente nelle fave.

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Fritz Hoffmann

1912. Una coincidenza incredibile

Il lavoro fu agevolato dalla coincidenza che il fondatore della Roche, Fritz Hoffmann, fosse un estimatore culinario della fava stessa e ne mise a disposizione grandi quantità e varietà. Il processo di estrazione ne richiede infatti quantità minima di 10 Kg e la fortuna volle che il sig. Hoffmann era proprietario di una estesa coltivazione proprio ai confini della Roche.

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Il dott. Guggenheim

Estratta la sostanza Guggenheim cominciò a cercare un impiego terapeutico per dare un senso commerciale alla sua ricerca. Tentò prima di impiegarla come antibatterico ma i test condotti su cavie animali non diedero risultati. Condusse altri test, tutti infruttuosi. Disperato nel 1915 inghiottì 2,5 grammi di L-Dopa assoluta, una quantità enorme non tollerabile dal corpo umano, infatti si sentì male dopo pochi minuti colpito da convulsioni e vomito che lo porterà a dichiarare che aveva pensato di morire. La sua goffaggine lo porta anche a provocare un grave incidente di laboratorio a causa del quale perderà completamente la vista. Riprenderà le ricerche nel 1918 coadiuvato dalla sua assistente, la signorina Schramm, la quale gli “presterà” di fatto la vista, leggendo tutto quello che desiderava e scrivendo i risultati sotto dettatura. Nel primo trattato di 376 pagine “Le ammine biogene” la L-Dopa fu citata solo due volte vista la “inutilità” commerciale.

Nel 1920 finalmente si riuscì a sintetizzare industrialmente la Levodopa che fu messa a disposizione dei ricercatori di biochimica. All’epoca si era compresa la relazione tra levodopa ed adrenalina e la formazione della melanina senza però scoprirne il ruolo biologico. Passarono ancora 30 anni e nella quarta edizione del suo trattato che oramai è arrivato a 650 pagine, Guggenheim completamente scoraggiato, definisce la L-Dopa : ”orfana senza alcuna indicazione apparente”.

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Una rarissima foto dei laboratori de La Roche degli  anni ’50

1960. La Benserazide – un altro orfano

Negli anni ’60 la Roche cercava di mettere a punto un farmaco per il controllo dell’ipertensione arteriosa, nell’ambito di tali studi si mise a punto la Benserazide – molecola Ro-4-4602 – uno dei più potenti inibitori della decarbossilasi che, sulla carta, avrebbe dovuto consentire un migliore controllo della pressione sanguigna dell’uomo. I test però purtroppo furono negativi e la Ro-4-4602 venne abbandonata come progetto.

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Il dott. Birkmayer a sinistra ed il dott. Hornykiewicz a destra

1961. La Levodopa trova un impiego

Nel 1961 Walther Birkmayer utilizzò la levodopa per il trattamento di alcuni pazienti parkinsoniani dietro suggerimento dei biochimici Ehringer e Hornykiewicz, che avevano riscontrato un basso contenuto di dopamina nel cervello di pazienti deceduti per la malattia di Parkinson.

Visti gli effetti spettacolari ottenuti, Birkmayer si recò a Basilea per convincere la società Roche a produrre la levodopa su larga scala e ad intraprendere studi clinici più allargati.

La casa farmaceutica Roche aderì alla richiesta nonostante i risultati ottenuti da Birkmayer fossero contestati da vari ambienti scientifici che subivano spinte economiche ed invidie accademiche, le stesse che suggerirono di somministrare ai pazienti, insieme alla levodopa, un po’ di benserazide. La potente inibizione della decarbossilasi esercitata dal farmaco avrebbe dovuto impedire la trasformazione della levodopa in dopamina e quindi annullare ogni effetto clinico. Grande sorpresa quando, dopo qualche tempo, Birkmayer riferisce che non solo la benserazide non ha diminuito l’attività della levodopa, ma che anzi l’ha notevolmente aumentata. 

Dovranno passare altri 6 anni prima che il ricercatore biochimico Giuseppe Bartolini definirà meglio l’interazione della Benserazide nella trasformazione della L-Dopa in dopamina, fu lui infatti a chiarire per primo la caratteristica della Benserazide di non attraversare la barriera ematoencefalica e quindi di poter “accompagnare sana e salva” la L-Dopa fino alla emobarriera.

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Il Dott. Cotzias nel suo laboratorio negli USA

Nel 1970 gli studi condotti negli USA dal dott. Cotzias convinceranno finalmente la Roche a rendere disponibile la L-Dopa sul mercato. In questo video dell’epoca si può vedere uno dei primi pazienti trattati con L-Dopa : 

Tra il 1970 ed il 1973 furono fatti gli studi necessari a determinare il rapporto esatto tra Benserazide e L-Dopa per assemblare un farmaco che includesse entrambi i principi.

1973. Immissione sul mercato di Madopar e Sinemet

Nel luglio del 1973 viene immesso sul mercato il Madopar e pochi mesi dopo il Sinemet. In Italia i farmaci furono autorizzati poco dopo, a febbraio del 1974 il Madopar e ad ottobre dello stesso anno il Sinemet.

Da allora i due farmaci non hanno subito praticamente variazioni se non che nel 1986  vengono immesse sul mercato le versioni a rilascio modificato, il Madopar HBS e Sinemet CR, che dovrebbero garantire un assorbimento più lento e quindi con curve più morbide e minori problemi di Off. In realtà l’esperienza clinica ha evidenziato che i subprocessi di rilascio modificato sono estremamente soggettivi ed anzi a volte causano problemi di “accumuli” che rendono le fasi di On ed Off ancor più difficili da gestire.


Articolo scritto originariamente dalla redazione dell’Associazione WeAreParky ONLUS. Successivamente l’articolo è stato revisionato e verificato dal Dott. Fabrizio Angeloro
Molte delle immagini e delle notizie citate sono state fornite da utenti della comunità internazionale https://healthunlocked.com/cure-parkinsons

 

La cannabis medicale (CBD) può migliorare la qualità della vita dei malati di Parkinson?

Negli ultimi 10 anni c’è stato un notevole aumento di popolarità e consumo della Cannabis, sia per scopi ricreativi che terapeutici. Sempre più ricerche stanno confermando le proprietà terapeutiche della Cannabis e dei suoi composti chimici attivi. Tra questi ultimi troviamo il cannabidiolo, con sigla CBD. Questo cannabinoide ha potenziali applicazioni mediche, tra cui quella per trattare i sintomi legati al morbo di Parkinson.

CANNABIDIOLO (CBD)

Il CBD è uno dei cento cannabinoidi attivi presenti nella Cannabis e rappresenta il 40% dell’estratto vegetale di questa pianta. Uno dei motivi principali per cui il CBD è ora oggetto di ricerca in campo medico è che, a differenza del più popolare THC (la componente “ricreativa”), non è psicoattivo. In parole povere, il CBD non sballa. Si tratta di un aspetto molto importante nelle terapie cliniche, dove si cerca sempre di ridurre al minimo gli effetti collaterali. Secondo numerosi studi, anche a dosaggi elevati, il CBD risulta essere ben tollerato dal nostro organismo e, quindi, sicuro per il consumo umano. Alcune delle proprietà terapeutiche più importanti del CBD sono la riduzione della nausea, dell’ansia, della depressione, il contrasto dello sviluppo delle cellule tumorali e cancerogene ed altre proprietà importanti reperibili nella letteratura scientifica. Purtroppo, la maggior parte di queste prove cliniche provengono dalla sperimentazione su animali, mentre sull’essere umano non sono state ancora condotte ricerche esaustive. Inoltre, il CBD rimane illegale in molte parti del mondo, un ulteriore motivo per cui bisognerebbe approfondire questo campo di ricerca e verificare gli effetti sulla salute umana e sulle patologie potenzialmente trattabili.

CBD E MORBO DI PARKINSON

Secondo diversi studi condotti in Brasile, Israele, Cecoslovacchia, Spagna ed Italia (di seguito indicati) da team indipendenti, il trattamento a base di cannabidiolo può migliorare la qualità della vita dei malati di Parkinson. Alcuni studi condotti su animali confermerebbero inoltre  che i composti della Cannabis hanno la capacità di rallentare la progressione della malattia di Parkinson e di altre malattie neurodegenerative.

SOMMINISTRAZIONE ED ASPETTI LEGALI

In farmacia si possono acquistare farmaci a base cannabiode come il Bedrocan dietro specifiche prescrizioni mediche. Purtroppo questa via è molto costosa, fino a 80 € al giorno in base al dosaggio. Viene perseguita solo in caso di emergenza per stadi terminali  e con esclusiva  finalità sedativa o analgesica (terapia del dolore).
Alcuni pazienti più determinati ricorrono all’importazione tramite la propria Asl. Per accedervi dovranno consegnare alla ASL una “richiesta di importazione per medicinali stupefacenti non registrati in Italia” compilata e firmata dal proprio medico oltre alla fotocopia del “modello di consenso informato” che si consegna firmato al medico al rilascio della prescrizione. Bisognerà quindi anticipare il pagamento per 3 mesi di cura, avviare la burocrazia dell’importazione aspettandone i tempi, ma almeno il prezzo finale per il paziente sarà di 11/14 € al grammo. È evidente la difficoltà oggettiva nel perseguire questa strada.

Molti pazienti esasperati dai costi e dalla burocrazia sono spesso costretti a comprare quello che si trova per strada, normalmente hashish (volgarmente “fumo”) spesso di pessima qualità tagliato con sostanze a volte anche nocive. Ciò oltre ad essere illegale è complesso – si immagini un parky tremorigeno a rollare uno spinello! Inoltre, il materiale illegale è  totalmente impossibile da controllare in termini di titolazione di CBD e THC.

LA SPERIMENTAZIONE PROPOSTA DA WEAREPARKY

Così come abbiamo fatto per la vitamina B1 abbiamo deciso di portare avanti uno studio indipendente che mira a scandagliare una strada alternativa – ovviamente legale – secondo noi perseguibile: l’assunzione di CBD nella forma di estratto anidro alimentare, lavorato da canapa sativa industriale da coltivazioni regolarmente autorizzate (privo di THC) tramite assunzione orale o inalazione/vaporizzazione. Resta inteso che occorre reperire un prodotto derivante da coltivazione biologica e purificato in modo naturale che usi come “trasporto veicolo alimentare” un olio altrettanto biologico. L’estratto anidro dovrà essere inoltre privato del THC. La ditta produttrice dovrà rilasciare titolo di acquisto valido riportante le caratteristiche del prodotto con relativa scheda tecnica e di utilizzo.
Abbiamo identificato una azienda italiana che ha avviato una coltivazione biologica  ed un laboratorio interno dove viene trasformato il raccolto in diversi sottoprodotti che seguono la normativa alimentare.
Al momento di pubblicazione del presente articolo stiamo predisponendo un protocollo di sperimentazione.

Le fasi:

  1. Ricerca informazioni e pubblicazioni ufficiali internazionali
  2. Identificazione ditta fornitrice rispondente ai requisiti di legge
  3. Predisposizione protocollo di sperimentazione
  4. Reperimento fondi necessari alla sperimentazione
  5. Realizzazione sperimentazione con triplice  finalità:
    – accertare il reale beneficio
    – accertare la sostenibilità globale
    – individuare modalità e dosaggi ottimali
  6. Analisi e pubblicazione risultati

L’attività si interruppe dopo pochi mesi perchè la ditta produttrice, vessata da continue variazioni normative, oneri e balzelli vari non aveva più la possibilità di mantenere un prezzo al pubblico sostenibile.

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PUBBLICAZIONI UFFICIALI

Settembre 2004
“Survey on Cannabis use in Parkinson’s disease: Subjective improvement of motor symptoms”

A cura di: Charles University in Prague

Campione: 339 pazienti

Risultato: “An anonymous questionnaire sent to all patients attending the Prague Movement Disorder Centre revealed that 25% of 339 respondents had taken cannabis and 45.9% of these described some form of benefit.”

Luglio 2005
Cannabinoids provide neuroprotection against 6-hydroxydopamine toxicity in vivo and in vitro: relevance to Parkinson’s disease.”

A cura di: Departamento de Bioquímica y Biología Molecular III, Facultad de Medicina, Universidad Complutense, 28040-Madrid, Spain

Risultato: “I nostri risultati supportano la vista di una potenziale azione neuroprotettiva dei cannabinoidi contro in vivo e in vitro della tossicità di 6-idrossidopamina, che potrebbe essere pertinente per PD. I nostri dati indicano che questi effetti neuroprotettivi potrebbero essere dovuti, tra l’altro, alle proprietà antiossidanti di alcuni cannabinoidi di origine vegetale, o esercitata attraverso la capacità di agonisti cannabinoidi per modulare la funzione gliale, o da una combinazione di entrambi i meccanismi.”

Testo completo depositato PUBMED : http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0969996104002827

Novembre 2009
“Cannabidiol for the treatment of psychosis in Parkinson’s disease.”

A cura di: Department of Neuropsychiatry and Medical Psychology, Ribeirão Preto Medical School, University of São Paulo, São Paulo, Brazil. awzuardi@fmrp.usp.br

Campione: 6 pazienti

Risultato: “ These preliminary data suggest that CBD may be effective, safe and well tolerated for the treatment of the psychosis in PD.”

Testo completo depositato SAGE Journals: http://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/0269881108096519

Dicembre 2009
“
Cannabidiol: a promising drug for neurodegenerative disorders?”

A cura di: Department of Experimental Pharmacology, Faculty of Pharmacy, University of Naples Federico II, Via D. Montesano 49, Naples, Italy. iuvone@unina.it

Risultato: “Tuttavia, tra i composti di Cannabis, il cannabidiolo (CBD), che manca di qualsiasi effetto indesiderato psicotropi, può rappresentare un agente molto promettente con la più alta prospettiva per uso terapeutico.”

Testo completo depositato PUBMED: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1755-5949.2008.00065.x/full

Marzo 2014
“Cannabis (medical marijuana) treatment for motor and non-motor symptoms of Parkinson disease: an open-label observational study.”

A cura di: Department of Neurology, Rabin Medical Center, Beilinson Hospital, Petach Tikva; and Sackler Faculty of Medicine, Tel Aviv University, Tel Aviv, Israel.<<<

Campione: 22 pazienti

Risutato: “There was also significant improvement of sleep and pain scores. No significant adverse effects of the drug were observed. The study suggests that cannabis might have a place in the therapeutic armamentarium of PD. Larger, controlled studies are needed to verify the results.”

Novembre 2014
“Effects of cannabidiol in the treatment of patients with Parkinson’s disease: an exploratory double-blind trial.”

A cura di:
1) Department of Neuroscience and Behavior, Faculty of Medicine of Ribeirão Preto, University of São Paulo, Ribeirão Preto, Brazil INCT Translational Medicine (CNPq), São Paulo, Brazil Barretos School of Health Sciences – Dr. Paulo Prata, Barretos, Brazil mchagas@fmrp.usp.br mchagas@facisb.edu.br.
2) Department of Neuroscience and Behavior, Faculty of Medicine of Ribeirão Preto, University of São Paulo, Ribeirão Preto, Brazil INCT Translational Medicine (CNPq), São Paulo, Brazil.
3Department of Neuroscience and Behavior, Faculty of Medicine of Ribeirão Preto, University of São Paulo, Ribeirão Preto, Brazil.
4) Laboratório Interdisciplinar de Investigação Médica, Universidade Federal de Minas Gerais, Belo Horizonte, Brazil.

Campione: 140 pazienti

Risultato: “Our findings point to a possible effect of CBD in improving quality of life measures in PD patients with no psychiatric comorbidities; however, studies with larger samples and specific objectives are required before definitive conclusions can be drawn.”

Dicembre 2015
“The neuroprotection of cannabidiol against MPP⁺-induced toxicity in PC12 cells involves trkA receptors, upregulation of axonal and synaptic proteins, neuritogenesis, and might be relevant to Parkinson’s disease.”

A cura di:
1) Department of Clinical Analyses, Toxicology and Food Sciences, School of Pharmaceutical Sciences of Ribeirão Preto, University of São Paulo, Ribeirão Preto, SP, Brazil. Electronic address: neife@fcfrp.usp.br.
2) Department of Clinical Analyses, Toxicology and Food Sciences, School of Pharmaceutical Sciences of Ribeirão Preto, University of São Paulo, Ribeirão Preto, SP, Brazil.

Risultato: “Our findings suggest that CBD has a neurorestorative potential independent of NGF that might contribute to its neuroprotection against MPP(+), a neurotoxin relevant to Parkinson’s disease.”

Testo completo depositato PUBMED : http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0887233315300047

CONTRIBUTI ACCADEMICI

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Dr. Daniele Piomelli, Ph.D., Pharm.D.
Urbino (Italy)
Professor Of Anatomy And Neurobiology
University Of California, Irvine
Irvine, CA
Luglio 2016
Researching the Potential Medical Benefits and Risks of Marijuana
https://www.youtube.com/watch?v=3vKgGYS10uQ

Dicembre 2016
“The number one frustration that I have is knowing that there is this untapped potential — that comes from what marijuana is teaching us — to generate new medicines, and being stuck because of financial issues or political issues. That is extremely frustrating.”
http://theantimedia.org/former-cop-cannabis-parkinsons-disease/

Sara Riggare: un’ora contro 8.765 (ita/es)

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da Sara Riggare – Svezia:

Io vedo il mio neurologo due volte l’anno, circa mezz’ora ogni volta. In totale è un ora all’anno di assistenza sanitaria per la mia malattia di Parkinson. Nello stesso anno trascorro 8.765 ore curandomi da sola

sara-i-ivar-lo-parken“Io vedo il mio neurologo due volte l’anno, circa mezz’ora ogni volta. In totale è un ora all’anno di assistenza sanitaria per la mia malattia di Parkinson. Nello stesso anno trascorro 8.765 ore curandomi da sola, utilizzando quanto ho appreso e l’esperienza insieme alle informazioni che ottengo dal mio neurologo al fine di gestire la mia difficile condizione come meglio posso. Soltanto per un’ora all’anno (il cerchio rosso nell’immagine a sinistra) io sono in contatto diretto con uno specialista e con le sue capacità cliniche.

Nella stessa ora viene fatta la valutazione della mia condizione dal mio neurologo e il mio trattamento farmacologico viene prescritto, un mix di 6 dosaggi, con 6 diversi intervalli di tempo e 5 diverse combinazioni. Diciamocelo in faccia, il mio medico non sa nemmeno se li prendo i farmaci!

Ed è durante quelle 8.765 ore di auto-cura che posso osservare gli effetti della mia terapia. E se potessi registrare le mie osservazioni in modo sistematico e portarle alla prossima a visita neurologica?

Indovina un po? Lo faccio già?

Non sto dicendo che voglio più tempo nel settore sanitario. Io davvero non credo che ho bisogno di più tempo con il mio neurologo. Tuttavia, sto dicendo che l’assistenza sanitaria deve riconoscere il lavoro che facciamo come pazienti e iniziare a lavorare a fare uso delle nostre osservazioni per le proprie conoscenze.

Provate a immaginare cosa potremmo realizzare se iniziamo a lavorare insieme – da pari a pari con diverse ma complementari aree di competenza.”

Articolo originale in inglese: http://www.riggare.se/1-vs-8765/
Pagina Facebook dell’autore: https://www.facebook.com/sara.riggare
Traduzione a cura di WeArePark

App MyTherapy: promemoria per farmaci ed altre terapie

Abbiamo più volte  detto quanto sia importante la precisione nel prendere le medicine, nonostante ciò nelle telefonate che riceviamo quotidianamente rileviamo che pochissimi parky e i loro caregiver sono stati informati sulle modalità di assunzione delle terapie orali.

Le 4 regole di base:

  • Bere almeno un bicchiere di acqua colmo ad ogni assunzione. Bevendo altri due bicchieri d’acqua in rapida successione si può accelerare del 50% il tempo di entrata in funzione dei farmaci. Questo perché le pastiglie vengono spinte fuori dallo stomaco, che ha la principale funzione di sterilizzare i cibi, nel duodeno dove avviene effettivamente l’assimilazione. Tre bicchieri di acqua coincidono circa con i 33 cl di una bottiglietta di acqua. In ogni caso i nutrizionisti ci dicono che dovremmo bere almeno 2 lt di acqua al giorno. Il fatto che molti di noi hanno difficoltà a trattenere la pipì non deve indurre a bere di meno, in questo modo si peggiora ancora di più la situazione;
  • Prendere le medicine sempre allo stesso orario, non alla bisogna, questo per abituare l’organismo e, quindi, per avere feedback più affidabili sull’efficacia delle terapie. Alcuni medici segnano sulle terapie a colazione, la mattina, a pranzo, prima di coricarsi: questa indicazione presuppone che la vostra vita sia scandita in modo molto preciso. Nella realtà le cose vanno diversamente. Un parky in pensione non è detto si alzi sempre alla stessa ora, che mangi tutti i giorni alle 13 e via dicendo. Quindi chiediamo sempre al medico di indicarci l’orario esatto in cui prendere i farmaci;
  • Assumere i farmaci a stomaco vuoto, almeno un’ora prima dei pasti, salvo diversa indicazione del medico o nel caso di farmaci che necessitano di gastroprotettore;
  • Seguire una alimentazione di buona qualità che regolarizzi la funzione digestiva. Qualsiasi cosa che altera il regolare funzionamento dell’apparato digerente può ridurre l’efficacia dei medicinali (influenza intestinale, stipsi, gastriti, irregolarità nell’evacuazione, etc.).

mytherapyPer aiutarci ad essere precisi con le terapie la Smartpatient di Monaco ha realizzato una App gratuita denominata MyTherapy. L’App è disponibile sia per iPhone che Android.
È possibile impostare la propria terapia, farmacologica / misurazione / attività / controllo sintomi,  in modo dettagliato ed impostare i relativi allarmi. Il sistema memorizza anche i tempi di assunzione così da fare una statistica nel tempo.

Per installarla da Android aprite sullo smartphone Google Play e cercate MyTherapy, poi selezionate Installa. Oppure cliccate direttamente qui dallo smartphone.

Per installarla su iPhone lo potete fare da App Store oppure cliccando qui.

 

Noi la sperimentiamo e la consigliamo da oltre un anno e ci sembra molto efficace.

Poi se vi scordate ancora la terapia e giocate alle “bella statuina” non avete più scuse 😉

Atremorine®: integratore rivoluzionario o ennesima campagna marketing?

Premessa

L’Associazione WeAreParky ONLUS fornisce aiuto pratico alle persone affette da Parkinson ed ai loro cari. In tale ottica dedichiamo tante energie nella divulgazione delle informazioni utili, spesso traducendo e svolgendo ricerche anche all’estero.

Le news, gli aggiornamenti sulle varie ricerche scientifiche, i lanci pubblicitari di prodotti ed ausili spesso “ingolfano” i nostri amici parky ed i caregiver che si rivolgono a noi per chiederci pareri o segnalarci novità. Questo significa fare rete.

Ed è proprio dalla rete che ci sono arrivate negli ultimi giorni tante richieste circa un nuovo prodotto denominato Atremorine®. Di seguito vi riportiamo le informazioni che abbiamo trovato.

Cosa è

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È un integratore alimentare basato su un estratto di una fava, la Vicia faba (Wikipedia) che, come noto da decenni, contiene L-Dopa (Wikipedia), un amminoacido che viene normalmente biosintetizzato dall’organismo umano e che opera come precursore di importanti neuroconnettitori tra cui la Dopamina.

Oltre a questo estratto, che viene prodotto seguendo un metodo brevettato proprio dal dr. Ramon Cacabelos – l’unico firmatario di tutti gli articoli e dell’unica ricerca ufficiale effettuata sulla Vicia Faba, nel composto è presente anche Vitamina E. Non è un medicinale. Secondo il dottor Cocabelos non sostituisce, ma può integrare la terapia farmacologica.

Del dr. Cocabelos  è disponibile online un impressionante Curriculum, ma in rete abbiamo trovato anche pareri e note piuttosto preoccupanti sul suo conto (Revista Medica).


Atremorine si assume per via orale con dosaggi consigliati a partire da 5 gr ad un massimo di 20 gr al giorno. Sul sito dedicato si dice che il dosaggio debba essere individuato per ogni paziente fra i 5-20 gr, ma non è indicato secondo quale metodologia debba essere, appunto, dosato. È scritto di non superare i 20 gr al giorno di assunzione. È venduto unicamente online in confezioni da 75 gr.

È efficace?

Scrive il dr. Cocabelos : “5-10g of AtreMorine® increases the level of dopamine between 500 % and 4000 % in only 1 hour with a duration of action up to 12 hours”. Tradotto: “5-10 gr di prodotto aumentano il livello di dopamina dal 500% al 4000% entro un’ora con un effetto attivo per oltre 12 ore.”.

Secondo noi: la L-Dopa è sicuramente un precursore della Dopamina, sostanza che, come sappiamo, nel malato di Parkinson è disponibile in modo deficitario dando origine ai sintomi che tutti conosciamo. Sappiamo anche, però, che immettere nell’organismo umano una quantità X di L-Dopa, sia essa di origine sintetica o vegetale, non significa portare oltre la barriera ematoencefalica un pari quantitativo di L-Dopa.

La farmacologia ci insegna che la L-Dopa essendo un normale amminoacido viene processato dall’apparato digerente come tale, in parte va in circolo nel sistema ematico e solo una minima parte arriva a destinazione. Per questo motivo tutti i medicinali a base di L-Dopa hanno sempre almeno un secondo componente (vedi ad esempio la Carbidopa) che serve  a preservare la L-Dopa fino al raggiungimento della barriera ematoencefalica.

Quindi, a nostro parere, quanto dichiarato dal promotore è molto ottimistico. Di fatto non ci sono studi sull’efficacia FUNZIONALE dell’integratore. Sono stati fatti studi sui ratti e su 119 soggetti umani. In quest’ultimo caso è stata fatta una semplice indagine di tipo ematico, ossia hanno indagato la presenza di L-Dopa nel sangue.

Sarebbe auspicabile un test funzionale, magari fatto secondo standard riconosciuto come l’UPDRS  (Specifiche) che ci potrebbe indicare di quanto e come migliorano effettivamente i sintomi del malato.

Quanto costa?

Ogni confezione è proposta (a parte lo sconto del 30% sulla prima prova) a € 97,00. Se consideriamo un dosaggio medio di 10 gr al giorno si parla di oltre 380 € / mese e 4000 € / anno.

Il packagingen

Riferimenti del distributore e del produttore

Risulta essere una azienda dei Paesi Bassi che da estratto della Camera di Commercio locale si occupa fondamentalmente della distribuzione di integratori alimentari. Non si riesce invece a capire bene chi sia effettivamente il produttore ed in particolare quale sia la filiera del prodotto, da quali coltivazioni deriva, se trattasi di culture bio e da quali aree agricole provenga.

Viaphyt BV
Gelissendomein 8 Bus 45
6229 GJ Maastricht
Pays Bas
Tel +31 043-7600149
https://atremorine-viaphyt.com

Rispetto alla Mucuna Pruriens?

mucuna-pruriens-and-testosterone-a-source-of-l-dopa

La più nota fava che contiene alti dosaggi di L-Dopa è la Mucuna Prurens di cui abbiamo parlato più volte e che è disponibile come integratore su diversi siti, come ad esempio Biovea (link). In Italia il Centro Parkinson di Milano condotto dal dr. Pezzoli sta conducendo da oltre due anni uno studio condotto secondo i dettami scientifici, anche a livello internazionale, in Africa e Bolivia, sull’efficacia e la applicabilità della Mucuna Prurens come trattamento primario (link articolo).

Anche alcuni nostri amici parky neodiagnosticati stanno facendo dei test assumendo Mucuna Prurens assoluta o in associazione a farmaci inibitori della monoaminossidasi tipo il Jumex (scheda farmaco). Ad oggi i feedback sono positivi ma attendiamo gli esiti del lavoro del team del dr. Pezzoli o altri istituti di ricerca.

Riassumendo – a cura di Giulio Maldacea

Ho chiesto ad un caro amico parky spagnolo cosa ne pensasse dell’Atremorine, mi ha risposto con umorismo inglese: “è come la Mucuna Prurens ma rivestita di marketing”. Onestamente condivido il suo pensiero.
Dopo 10 anni di Parkinson ho imparato a diffidare di qualsiasi prodotto dove si usino termini che sembrano più proclami pubblicitari (sorprendente, incredibile, portentoso etc). Ma più in genere, ho imparato a diffidare di tutti quei prodotti per parkinsoniani lanciati in pompa magna: più il budget per la promozione è alto e meno mi fido.

Ricordo i milioni di euro investiti per il lancio dello Xadago® all’inizio del 2016, doveva rivoluzionare la terapia farmacologica del Parkinson, nella realtà i risultati, oggettivamente nella media positivi, non sono stati sconvolgenti! Specialmente in relazione all’elevato costo del farmaco.
Oppure ricordo il dispositivo “G o n d o l a”, una sorta di agopuntura tecnologica e costosissima. Lanciato con una campagna web invadente: ricordiamo la presenza di stand della azienda svizzera che lo promuoveva nei convegni, sponsorizzazioni di workshop ed altre Associazioni.  Alla fine è scomparso nel nulla.

Tanti amici parkinsoniani hanno creduto ai messaggi ottimistici dei venditori, hanno speso migliaia di Euro, per quella che, per TUTTI coloro che ci hanno fornito feedback diretti, è stata un’esperienza fallimentare.

Detto ciò, ho appena ordinato una confezione di Atremorine® per curiosità, la proverò personalmente e vi dirò.

Di sicuro mi sento di fare i complimenti per la scelta del nome su cui è sicuramente stato condotto uno studio ben fatto a livello commerciale.

A- = alfa privativo, un suffisso derivato dal greco che indica la negazione del concetto
tremor = ci riporta al “tremore”, il sintomo più evidente del Parkinson
ine = una desinenza anglosassone spesso utilizzata nell’indicare sostanze chimiche

Risultato = sostanza chimica che elimina il tremore.

Geniale!

Ringraziamenti

Ringrazio l’Asociacion de Parkinson Bolivia, la MJF Fundation e l’amico Fulvio Capitanio di UCP per i pareri e le preziose informazioni ricevute.

Riconosciuto ufficialmente il legame tra malattia di Parkinson e pesticidi

L’esposizione ai pesticidi è ufficialmente riconosciuta come causa dell’insorgenza di malattie neurodegenerative come il Parkinson. È ora di farla finita con l’omertà. Sono anni che ne parliamo e sentiamo dirci che non è confermato, dovrebbe, forse. È così e l’articolo che riportiamo di seguito e apparso su Le Monde, integralmente tradotto per l’Associazione WeAreParky ONLUS da Lucia Roma, ci porta elementi innegabili. Ora vediamo quanto tempo dovremo aspettare affinché le autorità prendano provvedimenti.


È un passo in più verso il riconoscimento delle malattie professionali degli agricoltori. Lunedì 7 maggio, è entrato in vigore un decreto che riconosce la malattia di Parkinson come malattia professionale e stabilisce esplicitamente un legame di causalità tra questa patologia – seconda malattia neurodegenerativa in Francia dopo l’Alzheimer – e l’uso dei pesticidi.

Un passo in più poiché, in questo campo dove ha sempre regnato finora la legge del silenzio, la presa di coscienza sugli effetti dei prodotti fitosanitari sulla salute degli agricoltori comincia appena a emergere. E a portare i suoi frutti. In febbraio, la vittoria di un cerealicoltore della Charente, Paul François, che aveva intentato un processo contro il gigante americano Monsanto, ha costituito una novità in Francia.

La multinazionale è stata giudicata responsabile dell’intossicazione dell’agricoltore a causa dei vapori di un suo erbicida, il Lasso, ritirato dal mercato in Francia nel 2007, mentre la sua pericolosità era nota da più di venti anni.

Qualche giorno dopo, c’erano varie dozzine di operatori a manifestare davanti allo stand dell’Union des industriels de la protection des plantes. Le loro rivendicazioni: la classificazione delle affezioni legate all’uso dei pesticidi nelle malattie professionali e il ritiro dei prodotti pericolosi.

Il 30 Aprile un’altra decisione, quella della Commissione per l’indennizzo delle vittime di reati (Civi) di Epinal, ha portato acqua al mulino: quel giorno lo Stato è stato condannato a risarcire un agricoltore cerealicolo di Meurthe-et-Moselle che soffriva di una sindrome mieloproliferativa.

Riconosciuta per la prima volta come malattia professionale, la patologia è stata quindi associata dalla Civi all’uso di prodotti contenenti soprattutto benzene.

UN DECRETO MOLTO ATTESO

In questo quadro, che tende lentamente a evolvere, il decreto concernente il riconoscimento della malattia di Parkinson era dunque molto atteso, nota Guillaume Petit. L’agricoltore appartiene all’associazione delle Fito-vittime, creata nel marzo 2011 e con la quale Paul François è stato tra i primi a rompere il silenzio e attaccare la Monsanto. Ha aspettato quattro anni prima di vedere la sua patologia riconosciuta come malattia professionale .”Quanti vedono le loro richieste respite? E quanti rinunciano di fronte alle difficoltà?” si interrogavano quando è stata creata l’associazione.

Gli agricoltori vittime dei pesticidi vogliono rompere il silenzio

L’ingresso del Parkinson nel quadro delle malattie professionali in agricoltura faciliterà dunque i passi/le pratiche per gli agricoltori ai quali questa patologia sarà stata diagnosticata meno di un anno dopo l’uso di pesticidi – il testo non precisa quali. “È un riconoscimento ufficiale che è già importante sul piano simbolico – nota Guillaume Petit – ma è anche il mezzo, per l’agricoltore, di essere supportato economicamente in funzione del livello di inabilità a proseguire col proprio lavoro.” .

IN DIECI ANNI SONO STATE RICONOSCIUTE CINQUE MALATTIE LEGATE AI PESTICIDI

Secondo Yves Cosset, medico del lavoro aggiunto alla Mutua degli agricoltori (Msa), fino ad ora in dieci anni sono stati segnalati ai comitati per il riconoscimento delle malattie professionali solo venti casi di malattia di Parkinson, dieci sono stati accettati, dieci rifiutati. Nello stesso periodo, solo quattro o cinque casi di malattie sono stati riconosciuti ufficialmente come causati dai pesticidi.

In totale, sono 4900 le patologie riconosciute ogni anno come malattie professionali presso gli agricoltori. Ma tra loro più del 90% sono disturbi muscolo-scheletrici , il resto dei casi è legato principalmente agli animali e alla polvere di legno o all’amianto, secondo Yves Cosset.

Nel quadro delle malattie professionali in agricoltura, si trova anche, per esempio, la malattia di Lyme – causata dalle zecche – il tetano o le epatiti. Ma anche patologie legate ai prodotti fitosanitari. Dal 1955 viene citato particolarmente l’arsenico, responsabile di una vasta gamma di affezioni-irritazioni, intossicazioni o tipi di cancro. O ancora il benzene, classificato come sicuro cancerogeno, e il pentaclorofenolo (Pcf), proibito nei pesticidi dal 2003.

Ma, ricorda Yves Cosset, “questi scenari evolvono seguendo le conoscenze della scienza. La maggior parte delle patologie legate ai pesticidi appaiono in maniera diversa dieci, venti, anche trenta anni dall’inizio del loro impiego. Nella medicina del lavoro, si è cominciato a parlare di amianto negli anni ’60, ed è stato menzionato solo nel 1998 come prodotto cancerogeno. Non è quindi escluso che altre patologie emergano e siano riconosciute negli anni a venire.“.

Angela Bolis


Articolo originale in francese : http://www.lemonde.fr/planete/article/2012/05/09/le-lien-entre-la-maladie-de-parkinson-et-les-pesticides-officiellement-reconnu_1698543_3244.html

Ausili “Fai da te” : la scaletta per alzarsi dal letto

Ringraziamo Lorenza e suo marito che ci hanno inviato le foto e la spiegazione su come costruirsi in casa questo semplice ausilio utili a tutti coloro che hanno difficoltà, specialmente la mattina, ad alzarsi dal letto e che vogliono mantenere la loro indipendenza anche in questo semplice gesto. Con questo non vogliamo dire che rifiutiamo un aiuto dai nostri  cari – anzi due coccole mattutine ci fanno un gran bene !!! – ma d’altro canto è importante cercare di essere in grado di vivere serenamente la quotidianità casalinga.

FONDAMENTALE È LA RIABILITAZIONE CHE DEVE ESSERE FATTA COME TERAPIA PRIMARIA, PER MIGLIORARE LA QUALITÀ DI VITA A 360 GRADI.

È però evidente che molte persone con Parkinsom la mattina sono in difficoltà, finché non assumono i farmaci possono avere difficoltà a muoversi nel letti e ad alzarsi. Questo deve essere un ulteriore motivo per essere motivati e spronati ad iniziare un percorso riabilitativo specifico che deve essere portato avanti con costanza e diligenza.

Nonostante ciò ci sono ausili che possono aiutarci nello svolgimento delle attività giornaliere, come l’ausilio che Lorenza ed il marito hanno costruito.

È una semplice scaletta di corda tipo quelle che si usano in barca o in campeggio, solo che è praticamente gratis, leggera e poco invasiva rispetto all’ambiente casalingo.

Materiali necessari – ausilio per alzarsi dal letto “fai da te” :

  • manico di scopa in legno diametro circa 2 cm
  • due pezzi di corda diametro circa 0,5 cm lunghezza circa 2,0-2,5 metri
  • 6-8 viti con anello di diametro interno 0,6-0,8 cm,

Costruzione :

  • Tagliare il manico di scopa in 3-4 pezzi lunghi circa 25 cm (pioli) o meno come vi sembra più opportuno per le vostre mani, due o una sola
  • avvitare ad ogni estremità dei pioli le viti con anello
  • fissare una corda con un nodo all’anello del primo piolo poi infilarlo nel secondo e fare anche su questo un nodo in modo da non fare scorrere la corda
  • ripetere l’operazione sul terzo ed eventualmente quarto piolo mantendo una distanza di circa 15-20 cm tra loro
  • fare lo stesso con l’altra corda in modo da fomare una scala.
  • fissare l’estremità libere delle due corde al fondo letto (magari utilizzando le doghe) regolando la distanza del primo piolo in modo da poterlo afferrare con le mani sdraiati nel letto
  • conviene legare il piolo più in alto con un nastro (o un foulard) in modo da tenere la scaletta in fondo al letto e solo il nastro disteso vicino al corpo per il “ripescaggio della scaletta”.

Se vuoi prendere visione di altri ausili, raccomandazioni ed idee su come mantenere l’autonomia nella vita quotidiana segui le lezioni online gratuite di Terapia Occupazionale. Puoi seguire le dirette o vedere le puntate registrate dal seguente link: https://comitatoparkinson.it/to/

Risultati del sondaggio : Quale personaggio storico parkinsoniano può rappresentare meglio la nostra realtà ?

Giovanni Paolo II, Adolf HItler, Muhammed Alì, Mao Tze Dong.

Cosa hanno in comune ? Facile la risposta : il Parkinson.

In verità hanno un’altra cosa in comune, sono i personaggi storici scelti il 3 febbraio per rappresentare la comunità parkinsoniana in Italia sulle slide proiettate in occasione della presentazione del “libro bianco” (pagina nr. 3) realizzato da Parkinson Italia.

Ci sono centinaia di personaggi famosi contemporanei e non, italiani ed internazionali, secondo le varie scuole di pensiero ci sono tra i 350.000 ed i 600.000 parky in Italia, perchè scegliere proprio Hitler e Mao Zedong ? Nel titolo delle slide : “Parkinson in Italia e Lombardia – scenari di innovazione e cooperazione”.

Abbiamo voluto dare modo ai parky italiani di far sentire la propria voce partendo magari proprio da questo aspetto.

Il quesito è stato esplitato ancora meglio nei commenti liberi di Facebook da Anita Menegozzo :

Se per migliorare il livello informativo e di divulgazione delle problematiche parky doveste scegliere un personaggio vivo o morto che rappresenti validamente la categoria al fine di accorciare le distanze e sfondare il muro di estraneità e lontananza tra normo e parky a che persona affidereste il ruolo di testimonial ?

Hanno votato in 10 giorni su Facebook 48 persone, ognuno poteva esprimere fino a tre preferenze, in totale sono stati assegnate 61 preferenze.

Nello stesso periodo hanno votato altre 108 persone alle quali abbiamo posto la stessa domanda verbalmente esprimendo 178 preferenze che a grandi linee ricalcano in termini di peso statistico la votazione su Facebook.

Questa la classifica ufficiale :

  1. michaeljfox Michael J. Fox (48)
  2. giovannipaolo Giovanni Paolo II (44)
  3. robinwilliamns Robin Williams (36)
  4. davinci Leonardo Da Vinci (31)
  5. chaplin Charlie Chaplin (30)
  6. mohammedali Mohammed Alì (23)
  7. martini Carlo Maria Martini (12)
  8. rooslvelt Franklin D. Roosvelt (5)
  9. dalì Salvador Dalì (6)
  10. schulz Charles M. Shultz (2)
  11. natta Giulio Natta (2)
  12. hitler Adolf Hitler (0)
  13. mao Mao Zedong (0)

 

Ringraziamo quanti hanno votato e ci hanno aiutato nella erogazione del sondaggio, grazie a nome di tutti i parky NON responsabili di sterminii, genocidi e altri crimini contro l’umanità.

Il guanto anti-tremore : funziona, stanno già lavorando sulla industrializzazione

Il tremore delle mani è sicuramente uno dei sintomi del #parkinson che peggiora la qualità della nostra vita rendendoci difficile lo svolgimento delle più comuni e quotidiane azioni in casa(ad esempio vestirsi, lavarsi, mangiare) e quelle lavorative. Per combattere questi sintomi fino ad oggi si è ragionato esclusivamente in chiave farmacologica, una soluzione che però comporta SEMPRE e COMUNQUE delle controindicazioni immediate e/o a lungo termine.
Abbiamo già spiegato in altri post che il tremore delle mani può essere ridotto grazie all’esercizio fisico, alla terapia occupazionale, al miglioramento della condizione psico-emotiva. Tutte risorse che NON HANNO NESSUNA controindicazione, anzi, è stato dimostrato scientificamente, che se agite in modo costante rallentano il decorso della neurodegenerazione.
Oggi finalmente la ricerca tecnologica sta rendendo disponibili dei dispositivi che migliorano la qualità della nostra vita agendo a livello pratico/meccanico, quindi dall’esterno. Abbiamo presentato la scorsa settimana la posata anti-tremore (articolo su Wired), oggi vi presentiamo un progetto in avanzato stato – #Gyrogear – di industrializzazione che lavora a monte sul tremore della mano. Si tratta di un guanto che incorpora dei giroscopi azionati da sensori che leggono in tempo reale il tremore e lo controbilanciano tramite la forza centrifuga generata dai giroscopi. E’ la stessa tecnologia utilizzata da almeno 40 anni per esempio sulle imbarcazioni per mantenere allineate le parabole satellitare anche in caso di mare mosso. Ci siamo informati direttamente e probabilmente il prodotto sarà disponibile entro l’anno 2016 con un costo inferiore ai 1000,00 €.

La bici “terapeutica”

Prendiamo spunto da un post su un gruppo Facebook : molti parky vorrebbero andare in bici ma hanno bisogno di riprendere confidenza senza correre rischi di cadute.

Ovviamente da valutare a seconda delle proprie condizioni, se avete bisogno di consigli contattateci.

Le soluzioni sono molteplici :

1) il quadriciclo o risciò (richiede di essere almeno in due per non faticare troppo) – nella foto il modernissimo Rischok a pedalata assistita
2) il triciclo classico tipo Graziella (è individuale ma a volte non intuitivo nella sterzata e sulle buche) – anche a pedalata assistita
3) il triciclo reclinato (molto stabile e meno faticoso) – anche a pedalata assistita
3) gli stabilizzatori per adulti (ex rotelle dei bambini), da applicare alla vostra bici.

Ora non avete più scuse, fuori !!! da soli, con il vostro caregiver, con altri parky o chi vi pare, basta che uscite di casa e, se possibile, fate attività fisica, meglio se costante, all’aria aperta ed in compagnia !