Come affrontare il Parkinson
Nel nostro lavoro quotidiano al primo posto c’è l’ascolto delle persone che ci contattano, persone con Parkinson ed i loro cari, che ci chiedono consigli, pareri, aiuto. La maggior parte si dichiara insoddisfatto delle cure fin qui ricevute. Il problema è che non riusciamo ad identificare quali strumenti potrebbero migliorare lo scenario. Un ostacolo è costituito molto probabilmente dalla mancanza di una alfabetizzazione condivisa tra tutte le varie figure coinvolte nel percorso di cura. L’anno scorso fummo coinvolti nella progettazione del corso per caregiver. Presentammo una serie di proposte basandoci sulle risposte ai sondaggi che abbiamo erogato prima di ogni webinar, corso o evento.
Il nostro intento è “migliorare la qualità della vita delle Famiglie con Parkinson“, è naturale quindi cercare di individuare dei comportamenti virtuosi che promuoviamo, oppure dei comportamenti deleteri che invitiamo ad evitare. In questa ricerca i due estremi sono diametralmente opposti ossia ci sono alcuni parky che accettano la malattia, si informano su come combatterla, agiscono comportamenti virtuosi, riescono a convivere con Mr P ed addirittura, in alcuni casi, si definiscono e vengono percepiti come persone migliori rispetto al momento della diagnosi. Simpaticamente noi li definiamo SuperParky o Dopamine Hero.
Esattamente sul versante opposto ci sono parky che a causa NON loro della mancata informazione: rifiutano la malattia, non si informano, agiscono i comportamenti negativi per se stessi e per i loro cari, non riescono a convivere con Mr P peggiorando sensibilmente la qualità della loro vita. Altrettanto simpaticamente questo secondo genere di parkynsoniani noi lo definiamo ParkyPigri.
Tante volte ci siamo chiesti perchè avvengono reazioni tanto diverse ? Cosa possiamo fare per agevolare una reazione resiliente ? Lo abbiamo chiesto agli psicologi, ai neurologi ed ai ricercatori che ci assistono nel nostro lavoro.
Ad oggi lo scenario è molto cambiato per tre motivi:
- La ricerca è andata avanti, ottenendo ottimi risultati nell’ambito della comprensione delle cause scatenanti e nella identificazione degli stili di vita da adottare per ridurre il rischio di contrarla. A e “farmaco di prima scelta” che è stato messo in commercio 50 anni fa uò sembrare folle ma per noi il una risposta utile non l’abbiamo trovata. Con il termine “utile” intendiamo una risposta che possa contenere almeno un’ispirazione per una azione concreta e sostenibile da poter suggerire a chi si trova sul lato oscuro del pianeta Parkinson. Spiegazioni del tipo “dipende dal contesto sociale e familiare in cui ha vissuto il paziente” oppure “dipende dal livello culturale” possono essere informazioni utili per capire il contesto ma di fatto sono elementi che, almeno nel breve periodo, non sono modificabili, ammesso che si voglia e si possano modificare.
Oggi abbiamo capito che, come nella cura del Parkinson non esiste la pillola magica, così nell’affrontare il terremoto emotivo e psicologico causato dal sentirsi dire “tu hai il Parkinson”, non esiste “La risposta” o “La soluzione”. Esiste semmai una terapia strategica sistemica ed un percorso composto da vari passaggi ognuno da affrontare con l’aiuto di alcuni alleati.
Il dolore, la rabbia, l’ansia, l’angoscia
Quando da piccoli abbiamo imparato ad andare in bicicletta siamo sicuramente caduti e ci siamo sbucciati un ginocchio. Non per questo nostra madre o nostro padre ci hanno vietato di andare in bicicletta o ci hanno mandato in giro in bici con le protezioni da football americano ! È normale, la crescita passa anche per la sofferenza.
Concedetevi e concedete di vivere il dolore, la rabbia, l’ansia e l’angoscia. Offriamoci ed offrite un abbraccio silenzioso, asciugatevi ed asciugate le lacrime, offritevi ed offrite un bicchiere d’acqua.
Provare dolore, rabbia, ansia, angoscia è assolutamente normale.
Leggendo gli studi degli anni ’90 (link in inglese di Post Traumatic Grown) di Richard Tedeschi (link studi correlati in italiano) e Lawrence Calhoun (link studi correlati in italiano) abbiamo scoperto che da allora si parla comunemente di Crescita Post Traumatica e che le emozioni negative che proviamo sono un passaggio temporaneo naturale ed obbligato per tutti noi. Non c’è modo di evitarle e non va neanche cercato un modo per evitarle. Nessuno può decidere di non provare tristezza o inquietudine.
Possiamo navigare queste emozioni, come ci insegnano gli uomini di mare, possiamo tenere la prua della nostra barca verso le onde, possiamo cercare la Stella Polare per tenere la rotta, ma non possiamo opporci alle onde e dobbiamo anche essere disposti, perdonateci il linguaggio marinaresco, a navigare di bolina cioè ad assecondare il vento e le onde facendo un percorso che non è sicuramente il più breve ma è l’unico efficace. Riconducendo questo concetto al Parkinson e, ad esempio, ai disturbi del sonno spesso associati, “navigare di bolina” significa affrontare il problema in modo diverso.
L’insonnia può essere causata dai crampi alle gambe e questo è un fatto oggettivamente riconducibile al Parkinson in modo diretto (sintomo) o indiretto (effetto collaterale dei farmaci). Ma se l’insonnia è causata da uno stato di agitazione potrebbe essere riconducibile semplicemente alla nostra sana preoccupazione per il futuro, per un cambiamento che dobbiamo obbligatoriamente affrontare. Prendere subito un sonnifero ci farà probabilmente dormire ma non ci consente di crescere, ci fa convincere che solo con un farmaco potremmo risolvere i nostri problemi, ci fa perdere autostima, potrebbe causarci degli effetti collaterali o delle interazioni con altri farmaci che altererebbero il quadro generale rendendo più difficile la gestione della malattia.
Con questo non vogliamo assolutamente contraddire gli studi di psicoterapia, diciamo solamente di non avere paura delle nostre emozioni, anzi liberiamole, esterniamole, non cerchiamo di contenerle perché sprecheremmo solo energie. Magari già solo riconoscendole ed accettandole proveremo sollievo e maggiore serenità con il rischio di dormire meglio !
Magari non ci riusciremo e ci faremo aiutare a livello farmacologico. Ma se ci riuscissimo? Avremmo la consapevolezza che possiamo farcela, aiutandoci con la relazione, con l’affetto dei nostri cari, con l’aiuto di un counselor, di uno psicologo, tutti alleati sani e privi di controindicazioni chimiche!
Il cambiamento
Ricevere una diagnosi di Parkinson è un terremoto che può far vacillare i palazzi o distruggerli fin dalle fondamenta. Siamo obbligati a rivedere le nostre credenze, le nostre convinzioni. Siamo obbligati a ricostruire dal basso verso l’alto. È il cambiamento. Uno dei percorsi più complessi che possa affrontare un essere umano.
Il nostro cervello elabora le scelte anche sulla base di primordiali istinti di autoconservazione. Muoversi su terreni conosciuti: mangiare quello che ci ha fatto star bene, bere l’acqua che non ci ha avvelenato, non passare nel territorio di caccia di animali feroci, non toccare il fuoco per non bruciarsi, rientrare prima che faccia buio. In gergo aziendale si definisce “Area di confort”. Tutto ciò è assolutamente sano fino a quando non intervengono cambiamenti dello scenario. Quando questo avviene la sopravvivenza diventa funzione dello spirito di adattamento, della capacità di cambiare, diventa anche uno spunto creativo per trovare nuove soluzioni.
La creatività
La creatività è uno degli strumenti di cui possiamo avvalerci in un percorso di PTG (PTG – Post Traumatic Grown = Crescita Post Traumatica). Ci è piaciuta molto l’analisi della Dott.ssa Marie Forgeard (Traduzione in italiano di un articolo apparso sull’Huffington Post) della facoltà di Psicologia di Harward che citiamo letteralmente:
“Siamo obbligati a riconsiderare le cose che abbiamo sempre dato per scontate, siamo costretti a pensare a cose nuove. Gli eventi negativi possono essere così forti da obbligarci a formulare domande a cui altrimenti non saremmo mai arrivati”.
Il “Senso”
È il momento cruciale: l’elaborazione del terremoto. Perché alcuni cominciano subito a togliere le macerie e ricostruire un nuovo palazzo ed altri rimangono inermi seduti sulle macerie?
Abbiamo chiesto a tutti i parkinsoniani più virtuosi cosa li ha aiutati nel loro processo di cambiamento. Molti ci hanno risposto : “perché ha più senso”. Cosa è il “senso”? È la percezione di una sensazione, è un qualcosa che abbiamo sentito profondamente ma non con le orecchie, piuttosto con la pancia. Approfondendo le nostre interviste le persone ci hanno dato anche risposte più concrete: “per i miei figli”, “per mio marito”, “perché in fondo non sto così male”, “perché il neurologo mi ha detto che con i farmaci potrò gestirlo”, “perché un mio amico ce l’ha da tempo e lo vedo bene”. Noi pensiamo che il senso venga da una motivazione: gli affetti, le responsabilità, la fiducia, le credenze, l’esperienza.
Ci sentiamo di affermare che se avevamo chiaro il senso della nostra vita prima della diagnosi, allora probabilmente avremo chiaro il senso della nostra vita anche dopo la diagnosi, sapremo accettare la malattia e trovare creativamente dello soluzioni per affrontare il cambiamento. Se invece il senso della nostra vita non ci era completamente chiaro anche prima della diagnosi, allora faticheremo di più perché dovremo trovarlo, dovremmo capire cosa ci motiva ad affrontare i problemi che ci pone dinanzi il destino. Saremo costretti a fare i conti con noi stessi, a consapevolizzare. Per molti affrontare il Parkinson richiede un lavoro di analisi del proprio io, della propria vita, che magari ci saremmo potuti evitare. Ma forse avremmo vissuto in modo incompleto.
La motivazione
È indispensabile la motivazione, il vero carburante del cambiamento. Se ci troviamo nella condizione di non trovare il senso di affrontare la vita, il cambiamento, il Parkinson, allora abbiamo bisogno di guardarci intorno e magari di farci aiutare da chi ci vuole bene e/o di cui ci fidiamo e che possono aiutarci ad identificare la motivazione che in questo drammatico momento abbiamo perso.
Dobbiamo identificare degli alleati:
- i nostri cari
- il nostro neurologo
- lo psicologo
- una associazione
Loro ci aiuteranno a consapevolizzare e ci offriranno, ognuno per la propria competenza, un mattoncino che insieme agli altri ci permetterà di gettare le basi per ricostruire i muri crollati.
Link di approfondimento in italiano :
- Strategia Terapeutica 2.0
- Manifesto del Parkinson
- Facciamo pace con le medicine per il Parkinson
- http://www.psicohelp.it/crescita-post-traumatica-1/
- http://www.psicohelp.it/crescita-dopo-un-trauma-2/
Articolo scritto da Giulio Maldacea
ho il parkinson da 10 anni ho il dbs da due . scrittrice . tento una risposta , cosa determina la scelta di resistere e di soccombere? erroneamente a mio parere si identifica spesso con l’accettazione della diagnosi o meno. a mio parere non è cosi. la diagnosi resta quella ed è a tutti gli effetti una sentenza al rallenty che ti fa diventare un ospite del raggio verde. la sentenza ti appioppa una malattia che a differenza della morte ti depriva del corpo varie volte al giorno .ogni blocco ogni bradicinesia ogni off ti ricorda nella carne più volte al giorno che non ti appartieni e che ciò che hai ti può essere tolto in pochi secondi . in sintesi la sentenza per quanto attenuata è assoluta totale e fisica. hai solo una possibilità risorgere più utile più ampia creativa più profonda più empatica a 360 gradi. In cambio il patto esige sacrificare la propria pelle vecchia cioè devi morire alla vecchia te stessa . saltare nel buio. uscire dalla pelle . vivere un altra te completamente nuova. Spesso chi si aggrappa alla vecchia vita è destinato invece a guardarsi perdere le proprie vecchie abilità caratteristiche giorni in un conto alla rovescia inesorabile. Al contrario chi accetta di morire al sè vecchio può risorgere moltiplicato.
ecco secondo me il discrimine che fa la differenza a parità di eta sintomi e cure.