Comunicare con una persona con Parkinson

Le persone con Parkinson spesso vengono descritte come apatiche, scontrose, poco socievoli ed egoiste.

Riteniamo sia nostro compito spiegare alle persone con cui ci relazioniamo, che tra i molti sintomi causati dal Parkinson c’è la riduzione della funzionalità dei muscoli facciali e questo comporta la perdita dell’espressività, della mimica facciale. Considerate che più del 70% di ciò che comunichiamo passa attraverso la comunicazione non-verbale (mimica facciale, postura, etc.), se a questo sommate il fatto che spesso altri sintomi posso essere un tono di voce basso e monotono ecco che si possono sviluppare gravi problemi di comunicazione.

RISOLVIAMOLI SUBITO!

  1. Dichiariamo la nostra condizione. Non possiamo pretendere di essere capiti se le persone con cui ci confrontiamo non sanno cosa abbiamo. Facciamolo subito! Specialmente quando ci rapportiamo con una persona appena conosciuta. Se non ce la sentiamo di farlo direttamente, chiediamo di farlo per noi al nostro caregiver  nella modalità che pattuiremo anticipatamente;
  2. Spieghiamo la nostra difficoltà, la causa e chiediamo di stabilire una modalità comunicativa consona: noi ci sforzeremo di parlare a voce alta e modulata, gli altri avranno l’accortezza di avvicinarsi, fare maggiore attenzione ed educatamente non sovrapporsi;
  3. Scegliamo ambienti adeguati per tenere un colloquio, magari più tranquilli e protetti. Una sagra di paese per un primo incontro forse non è la scelta migliore!
  4. Alleniamoci leggendo a voce alta e registrandoci con la telecamera del computer o davanti allo specchio;
  5. Seguiamo i tutorial disponibili online, li trovate su youtube mettendo come parole di ricerca “ginnastica facciale terapia”, noi abbiamo trovato Ginnastica facciale;
  6. Se la situazione è più grave rivolgiamoci ad un logopedista.

Per chi si rapporta con un parky chiediamo di mettersi nei nostri panni, sarà possibile comprendere meglio i disagi di un malato di Parkinson e il motivo per cui possa sembrare una persona asociale.

 

 

Dalla prima lettera dei parky ai propri neurologi (2016)

Lettera scritta a 6 mani, da me (Giulio Maldacea) e due soci ed amici di WeAreParky che preferiscono rimanere anonimi.

 


Caro neurologo
sono il tuo paziente giovane parky. Ti scrivo perché vorrei che avessi tutte le informazioni utili a migliorare il nostro rapporto, vorrei che sapessi cosa ho provato quando mi hai comunicato la diagnosi, come mi sono sentito la prima volta che ho provato un off, vorrei farti capire la difficoltà a mantenermi lucido, per spiegarti come mi sento quando durante la visita di controllo rispondi al cellulare, oppure quando mi dici “proviamo” questo farmaco o quest’altro, vorrei esprimerti tutta la mia gratitudine quando finalmente siamo riusciti a trovare un setup farmacologico sostenibile e sono riuscito così a migliorare la qualità della mia vita.
Sono venuto da te da “neo”, come ho scoperto poi che ci chiamate quando siamo “nuovi”. Avevo capito che c’era qualcosa che non andava, la parte destra del mio corpo era rallentata, non sentivo gli odori, scrivevo male. Avevo 35 anni, ovviamente ero andato su Internet, c’era andata anche mia madre e la mia ragazza. Per avere una visita con te abbiamo aspettato 4 mesi. Capisci bene che quando ci siamo visti la prima volta c’era tanta aspettativa, ti ho raccontato i sintomi, ti ho detto che avevo visto su Internet e che avevo paura di avere il Parkinson, la cosa ti ha infastidito, mi hai risposto in modo scontroso. Poi mi hai fatto fare dei test, farfalline, punta-tacco, diventerò un campione in questi esercizi negli anni.

Silenzioso, hai scritto tutto in un tempo che mi sembrava infinito, poi mi hai detto : “Mi sembra evidente che lei ha i tipici sintomi di un parkinson giovanile. Se vuole possiamo fare un esame specifico ma ne sono praticamente sicuro.”.

Dalla parola “parkinson” in poi non ho capito più niente. Io giro il mondo, amo viaggiare, fare sport, correre in bici, fare l’amore. In mente mi compaiono vecchietti tremolanti, piegati in avanti, con il bastone, il deambulatore, la carrozzina. Il loro viso diventa il mio. Tu stai dicendo che “… con una adeguata terapia vedrà che riusciremo a tenere sotto controllo i sintomi, oggi l’aspettativa di vita di un parkinsoniano è praticamente uguale a quella di una persona sana. Di Parkinson non si muore.”.  Mi dici pure che però all’inizio cercheremo di usare meno farmaci possibili perché “… è più prudente …”. Mi suggerisci anche di fare esercizio fisico costante. Ci credo, mi congedi consegnandomi la ricetta per le medicine.

Esco dal tuo studio. Cammino nel corridoio, mi sembra che tutti mi osservino, in realtà sono io che cerco di cogliere il loro sguardo e mi chiedo “Se ne saranno già accorti che ho il Parkinson ?”. Provo vergogna, sono ferito nell’orgoglio. Ti chiedi perché ? Te lo spiego : perché ho 35 anni, sono fiero di me e del mio fisico, ho condotto una vita sana, non fumo, non mi drogo, non bevo. Perché devo essere condannato ad invecchiare precocemente ? la prima cosa che penso è che sia una punizione per qualcosa che ho fatto.

Vado dal medico di famiglia, per le medicine che mi hai assegnato, che costano uno sproposito, devo chiedere l’esenzione, ma per fare questo devo fare una procedura burocratica delirante, poi dovrò fare un “piano terapeutico”, scartoffie perfettamente inutili ai fini della mia salute, tu sei lo specialista, un medico di famiglia ed una massa di burocrati che non capiscono assolutamente niente di questa malattia dovranno approvare la tua terapia. Dovrò umiliarmi, rispondere a domande imbarazzanti poste da perfetti sconosciuti. Poi potrò avere le mie medicine che nella mia mente sono oramai già idealizzate. Il medico di famiglia mi consiglia di rivolgermi ad un patronato per fare le pratiche per l’invalidità, la 104, l’accompagno, la patente, il tagliando per il parcheggio riservato ai portatori di handycap. Gli dico che io non mi sento handicappato, mi risponde con occhi compassionevoli, “si dia da fare adesso che è ancora in grado di farlo da solo”.

Mi ritornano in mente le tue parole “tenere sotto controllo i sintomi”, ma allora non è vero ? Provo a chiamarti, scopro che è difficilissimo parlarti, sei molto impegnato tra ospedale, visite, università e convegni. Dopotutto sei uno dei migliori.

Torno su Internet, mi escono i nomi di molte associazioni, comincio a leggere tutto quello che trovo. Scopro che esiste un mondo che non conoscevo. Un universo parallelo. Avrei bisogno di qualcuno che con calma mi spiegasse tutto quello che succederà, tutto quello che devo fare, cosa aspettarmi. Sento il bisogno fortissimo di parlare con altri parky, sento di potermi fidare solo di loro. Scopro su Facebook molti gruppi dedicati ai malati, ai familiari / caregivers. Leggo cose allucinanti, gente depressa, famiglie rovinate, vite ridotte ad una sofferenza. Pochissimi i casi che rispecchiano quello che mi dici tu.

Decido di cancellarmi da Facebook. Intanto comincio la terapia, capirò presto che i sintomi non saranno proprio sotto controllo e che anche tenerli solo in parte sotto controllo richiede uno sforzo epico. Scoprirò che il Parkinson è una patologia bizzarra, ogni mattina se ne inventa una. Sintomi che compaiono e scompaiono, terapie che vanno costantemente corrette, a volte sostituite, più volte negli anni.

Passano gli anni. Scopro di essere un aspirapolvere, anche io ho due stati : ON ed OFF. Ad un convegno avevo sentito parlare un famoso psicologo veneto, parlava del disagio degli artisti, diceva che vivono sconfinando abitualmente tra normalità e follia, questo li rende più creativi ed al tempo stesso delicati. Con l’alternarsi degli on e degli off comprendo la loro difficoltà nel vivere il loro dualismo. Difficilissimo invece farlo capire ai “normali”, familiari compresi.

Ho scoperto anche che per il mondo non esistiamo, nessuno sa che il Parkinson può venire ai giovani. Una mattina ho saltato la dose, ero in un bar, tremavo forte, sono andato in panico, non riuscito a parlare. Spaventati i gestori hanno chiamato l’ambulanza, al Pronto Soccorso avevano deciso che avevo sicuramente un attacco epilettico. Quando sono riuscito a fargli capire che avevo il Parkinson ho visto le loro facce spaventate. Non sapevano più cosa fare. Hanno chiamato il neurologo di turno, mi ha visitato e mi ha chiesto scettico : “Ma lei è sicuro di avere il Parkinson ?”. Che Dio lo perdoni.

Una volta stavo partendo per un viaggio in Africa , all’aeroporto mi rubano lo zaino con la scorta di medicine per un mese, chiamo la Polizia, mi ero agitato ed ero in balia del tremore. Mi accorgo che un poliziotto mi guarda sospettoso e mi chiede con lo sguardo intelligente : “La vedo molto nervoso … è sicuro che nello zaino c’era solo il passaporto e le medicine ?”. “No, in effetti  ci avevo messo anche un paio di chili di coca !”, avrei voluto dirgli ! Con calma invece gli risposi a bassa voce avvicinandomi : “Sono parkinsoniano”. Lui mi guarda con la faccia a forma di punto interrogativo, passano secondi interminabili poi mi dice “… ehm … mi scusi, io sono di Perugia, non conosco queste zone. “. Volevo morire.

Pare che il Parkinson giovanile sia anche in incremento. La nostra vita ci ossida, è il caso di dirlo, giorno per giorno. L’età di esordio varia dai cinquanta anni in giù fin al limite inaccettabile seppur raro dei venti anni.
Scopro che la credenza per cui il Parkinson abbia origini genetiche è vera solo per una minima percentuale di noi. Quando ti chiesi perché mi era venuto eri stato vago. Ora scopro che ci sono studi e ricerche ufficiali che mettono sotto accusa in modo inequivocabile l’inquinamento ambientale, in particolare i pesticidi, le neurotossine, i solventi industriali e di uso comune, addirittura i vaccini degli anni ’90.

Mi sono legato ad una associazione che mi è sembrata diversa dalle altre, si chiama WeAreParky. Ho ricevuto tante informazioni utili e pratiche, se le avessi avute prima mi sarei risparmiato tanti problemi. Ho conosciuto altri parky (tra di noi ci chiamiamo così, fa meno paura) che mi hanno raccontato la loro storia. Ne ho conosciuti cinque o sei ai quali il Parkinson sembra sia venuto a seguito di un forte trauma emotivo o fisico. Perché anche di questo non se ne parla ?

Vengo  a scoprire anche che alcuni farmaci, i dopaminergici in particolare, sono quelli che mi fanno gestire meglio i sintomi, inoltre grazie a loro sento la stanchezza molto di meno. D’altro canto scopro che agiscono sulla psiche in misura ben superiore a quello che ho letto sui bugiardini. Anche io a pensarci bene mi sento diverso, tutti mi dicono che sono diventato impulsivo ed egoista. In effetti provo pulsioni strane che non ho mai provato. Lo racconto alla mia compagna, spalanca gli occhi e corre a telefonarti. Scoprirò che l’avevi messa in guardia.

Da quel momento la fiducia che i miei cari riponevano in me è finita, per sempre, mi trattano come un bugiardo cronico, un pericolo pubblico. Di fatto non è successo niente, ma non conta, ogni cosa che faccio è soggetta ad inchiesta. Se dico che voglio comprarmi una canna da pesca da 50 Euro su eBay loro impallidiscono e si guardano tra di  loro come a dire : “Lo vedi cosa fà ?”. Timidamente mi suggeriscono di lasciare a casa bancomat e carte di credito. Sul lavoro in qualche modo arriva l’onda di sfiducia. Non mi assegnano più compiti e missioni importanti. E non conta aver sospeso i dopaminergici, è come essere appestati, anni di vita retta ed onesta sono spazzati via per sempre. Scoprirò che questa cosa si chiama “stigma”.

La componente medica è una fetta della torta. Di fatto emerge un problema nettamente esistenziale che amputa il tempo e lo spazio a corpi meccanicamente efficienti. In questa dimensione per un giovane parky è difficile reagire in modo adeguato e rimanere lucido. Ci sentiamo leoni feriti a morte, presto vittime magari del nostro stesso branco. Ho capito che questa società tende ad espellerci con il cartellino rosso. Mi hanno dato l’invalidità, mi hanno ricollocato sul lavoro, ero un manager, ora ho un part-time e svolgo compiti di segreteria, guadagno un quarto di prima e spendo il doppio per vivere. Mi hanno suggerito di andare in pensione e chiedere l’assegno di inabilità. E molti accettano. Lasciano il lavoro, si chiudono in casa, sopravvivono con pensioni ridicole, i problemi economici contribuiscono a peggiorare le relazioni familiari ed affettive in genere già minate dalla malattia in sé.

Pensa alle giovani donne parky, pensa alle mamme parky. Pensa al loro coraggio nel vivere una gestazione costrette a sospendere per nove mesi la terapia. Una carissima amica parky non riesce più a mettere il rimmel, il rossetto. Prima era una fanatica, vanitosa, cortegiatissima. Ora si taglia i capelli a spazzola, zero trucco, tuta e scarpe da ginnastica. E’ una persona eccezionale, non molla, combatte la malattia, aiuta gli altri, ha sempre una parola di conforto, magari alla sera arriva sfinita ma sappiamo che su di lei puoi contare. Possibile che dobbiamo aiutarci tra di noi ? Possibile che se voglio essere capito e non giudicato, se voglio essere trattato come un essere umano senziente devo parlare con un altro, o altra, parky ?.

A volte pensiamo di essere dei “mutati”, quando ci incontriamo per strada ci riconosciamo all’istante, ci “annusiamo” come gli animali, in 10 minuti ci siamo raccontati tutta la vita, basta uno sguardo, cominciare una frase e ci siamo già capiti.

Mi sono ritrovato ad invidiare i vecchietti arzilli che facevano volontariato nelle scuole e che incontravo in viale mentre facevano attraversare la strada ai bambini, mentre io arrancavo alla meno peggio e non riuscivo nemmeno più a scrivere.

Ora ho 47 anni, sono passati 10 anni, sono finiti entrambi i matrimoni. Quello con mia moglie e quello con la levodopa. Ho cominciato ad avere le discnesie. Ho capito ora quando mi dicevi di ritardare le medicine, all’inizio. Avrei preferito che me lo spiegassi meglio. Avrei potuto decidere di tenermi i tremori e le rigidità iniziali per un pò, paragonati a come sto oggi erano sopportabilissimi.

I ragazzi dell’Associazione promuovono una nuova filosofia terapeutica, la chiamano “2.0”. Che non è nuova in effetti. Semplicemente hanno reso sistemico l’approccio, hanno strutturato quei consigli che timidamente (forse ci credi poco ?) mi davi anche tu ed i tuoi colleghi.

Hanno cancellato il termine “terapie integrative”.

Coltivare un hobby, fare fisioterapia, le vitamine, la levodopa. Sono terapie alla pari, perché sento dire “terapia primaria” e “terapie alternative”, come se parlassimo di omeopatia che ci mette tre mesi a farti passare un raffreddore.

Ora sfrutto il tempo libero per fare sport  ed attività ludiche in modo costante. Sono andato da un nutrizionista, ho cambiato completamente stile di alimentazione. Sono andato da una naturopata che mi ha suggerito una serie di integratori e vitamine. Mi fanno sentire molto meglio di tono ed umore. Sono riuscito ad eliminare i sonniferi. Partecipo agli incontri dell’Associazione, ogni tanto gli do anche una mano. Mi fa stare meglio specialmente aiutare i neo-parky. Non voglio che passino il mio Inferno. Quando mi sento giù chiedo aiuto ad uno psicanalista esperto della nostra patologia.

La verità è che non hanno nessuna cura sana da proporre.

Ci sono medicine che limitano i sintomi e che aiutano a breve termine. Vanno gestite con molta cautela, perché a parità di dosaggio hanno effetti temporanei, oltretutto posso comportare effetti collaterali molto peggiori dei sintomi.

C’è la DBS ma è un intervento pesante da sopportare e possono accedervi il 5, il 10% dei parky

C’è la duodopa e le pompe, funzionano bene in certi casi ma anche quella è una bella rottura di scatole.

Escono farmaci nuovi ma non risolvono la causa, si limitano a contenere i sintomi, comunque comportano effetti collaterali che spesso ci vengono spacciati per sintomi. Ascoltateci, vi prego.

Ci dite che il Parkinson è una malattia sistemica. E allora serve un approccio sistemico, fin dalla diagnosi. Che preparazione avete per comunicare la diagnosi ? Vi rendete conto del compito ingrato e grave che vi accollate ? Dobbiamo pretendere un supporto professionale, la comunicazione della diagnosi va preparata, coordinata con i familiari. Quando la comunicate dovete trasmetterci la maggiore sicurezza possibile, dobbiamo sentirci accolti, noi e chi ci vuole bene.

Dobbiamo essere informati dettagliatamente, dobbiamo essere messi nella condizione di scegliere come curarci. Dobbiamo conoscere l’importanza delle nostre scelte. C’è in ballo il resto della nostra vita. Io avevo 35 anni, ero più o meno verso la metà della mia vita. Oggi sono convinto fermamente che con un approccio strategico e sistemico veramente si può convivere ed invecchiare con il Parkinson. Mantenere una qualità di vita accettabile.

Ad oggi i farmaci da soli non sono la risposta. E voi lo sapete perfettamente. Ognuno di noi ha una sua chimica, abitudini di vita alimentari, situazioni affettive, lavorative. Serve un team che ci supporti in questa guerra, e quando dico “ci” intendo noi parky e voi neurologi che siete senza ombra di dubbio il nostro alleato principale. Aiutiamoci in questo compito ingrato, ognuno faccia il suo. Lo sappiamo : avete sempre meno risorse e siete costretti ad operare con personale scarso e spesso condiviso con altri reparti.

Coinvolgeteci, prima di essere giovani parky, prima di mutare, eravamo mamme, padri, studenti, manager, liberi professionisti, artisti. Ora siamo incazzati neri, non accettiamo di essere messi in soffitta. Scusate il linguaggio. Possiamo dare molto, per primi a noi stessi, ai neo-parky che verranno. Siamo risorse umane motivate ! Siamo gli unici depositari di informazioni sui sintomi e sui feedback delle varie terapie che nessuno potrà darvi mai.

Vi faccio un esempio : a noi non interessa fare bene le farfalline ed il punta tacco ! A noi interessa riuscire a gestire i soldi nel portafoglio quando sei in fila alla cassa del supermercato e la commessa di fissa spazientita, senti la gente dietro di te che scalpita nemmeno fosse sulla linea di partenza di una gara di F1 ! Lo so a voi serve un coefficiente per misurare l’avanzamento della malattia. Ma sentirmi dire che il coefficiente UPDRS è rimasto invariato negli ultimi due anni quando non riesco oramai più ad allacciarmi le scarpe, quando mi vergogno a fare l’amore con la mia compagna perché tremo come una foglia, quando sono costretto ad andare sempre allo stesso supermercato ed alla stessa ora. Sai perché ? Ho trovato il coraggio di parlare con la cassiera. E’ stata molto comprensiva, non mi fissa più, anzi si mette a chiacchierare e mi da tempo di fare le cose con calma, quelli della fila ora si innervosiscono con lei. Quando vado via ci scambiamo un occhiolino. E’ un trucco. Ma mi fa vivere meglio. L’avresti mai detto ?

Il posto auto agevolato

Abbiamo sempre detto che nel momento in cui riceviamo una diagnosi di Parkinson, come di qualsiasi altra malattia grave, a livello burocratico si dovrebbe aprire una corsia preferenziale per agevolarci e consentirci di concentrarci sulle cure che necessitiamo. In Italia invece si apre un percorso complicato, lento, che ci assorbe tempo, risorse e denaro tanto che spesso i malati e le loro famiglie rinunciano ai propri diritti pur di non complicarsi la vita.

sostariservataL’art. 11 comma 5 del vigente Codice della Strada stabilisce di riservare gratuitamente ai detentori del contrassegno Blu 1(uno) posto auto ogni 50 (cinquanta) disponibili.

Citiamo di seguito integralmente la norma vigente :

– Il DM 236/1989 prevede al punto 8.2.3 : “Nelle aree di parcheggio devono comunque essere previsti, nella misura minima di 1 ogni 50 o frazione di 50, posti auto di larghezza non inferiore a m. 3,20, e riservati gratuitamente ai veicoli al servizio di persone disabili. Detti posti auto, opportunamente segnalati, sono ubicati in aderenza ai percorsi pedonali e nelle vicinanze dell’accesso dell’edificio o attrezzatura. Al fine di agevolare la manovra di trasferimento della persona su sedia a ruote in comuni condizioni atmosferiche, detti posti auto riservati sono, preferibilmente, dotati di copertura.” –

Il posto auto deve essere adegueato al Decreto Ministeriale – Ministero dei Lavori Pubblici 14 giugno 1989, n. 236. Al punto 4.2.3 dell’articolo 4 “Criteri di progettazione per l’accessibilità” viene specificato che: “Si considera accessibile un parcheggio complanare alle aree collegato tramite rampe o idonei apparecchi di sollevamento.”.  Ed inoltre, riprendendo anche l’articolo 4.1.14, che : “… Lo spazio riservato riservato alla sosta delle autovetture al servizio delle persone disabili deve avere dimensioni tali da consentire anche il movimento del disabile nelle fasi di trasferimento; deve essere evidenziato con appositi segnali orizzontali e verticali.”.

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Come affrontare il Parkinson

Nel nostro lavoro quotidiano al primo posto c’è l’ascolto delle persone che ci contattano, persone con Parkinson ed i loro cari, che ci chiedono consigli, pareri, aiuto. La maggior parte si dichiara insoddisfatto delle cure fin qui ricevute. Il problema è che non riusciamo ad identificare quali strumenti potrebbero migliorare lo scenario. Un ostacolo è costituito molto probabilmente dalla mancanza di una alfabetizzazione condivisa tra tutte le varie figure coinvolte nel percorso di cura. L’anno scorso fummo coinvolti nella progettazione del corso per caregiver. Presentammo una  serie di proposte basandoci sulle risposte ai sondaggi che abbiamo erogato prima di ogni webinar, corso o evento.

Il nostro intento è “migliorare la qualità della vita delle Famiglie con Parkinson“, è naturale quindi cercare di individuare dei comportamenti virtuosi che promuoviamo, oppure dei comportamenti deleteri che invitiamo ad evitare. In questa ricerca i due estremi sono diametralmente opposti ossia ci sono alcuni parky che accettano la malattia, si informano su come combatterla, agiscono comportamenti virtuosi, riescono a convivere con Mr P ed addirittura, in alcuni casi, si definiscono e vengono percepiti come persone migliori rispetto al momento della diagnosi. Simpaticamente noi li definiamo SuperParky o Dopamine Hero.

Esattamente sul versante  opposto ci sono parky che a causa NON loro della mancata informazione: rifiutano la malattia, non si informano, agiscono i comportamenti negativi per se stessi e per i loro cari, non riescono a convivere con Mr P peggiorando sensibilmente la qualità della loro vita. Altrettanto simpaticamente questo secondo genere di parkynsoniani noi lo definiamo ParkyPigri.

Tante volte ci siamo chiesti perchè avvengono reazioni tanto diverse ? Cosa possiamo fare per agevolare una reazione resiliente ? Lo abbiamo chiesto agli psicologi, ai neurologi ed ai ricercatori che ci assistono nel nostro lavoro.

Ad oggi lo scenario è molto cambiato per tre motivi:

  1. La ricerca è andata avanti, ottenendo ottimi risultati nell’ambito della comprensione delle cause scatenanti e nella identificazione degli stili di vita da adottare per ridurre il rischio di contrarla. A e “farmaco di prima scelta” che è stato messo in commercio 50 anni fa uò sembrare folle ma per noi il  una risposta utile non l’abbiamo trovata. Con il termine “utile” intendiamo una risposta che possa contenere almeno un’ispirazione per una azione concreta e sostenibile da poter suggerire a chi si trova sul lato oscuro del pianeta Parkinson. Spiegazioni del tipo “dipende dal contesto sociale e familiare in cui ha vissuto il paziente” oppure “dipende dal livello culturale” possono essere informazioni utili per capire il contesto ma di fatto sono elementi che, almeno nel breve periodo, non sono modificabili, ammesso che si voglia e si possano modificare.

pillolamagicaOggi abbiamo capito che, come nella cura del Parkinson non esiste la pillola magica, così nell’affrontare il terremoto emotivo e psicologico causato dal sentirsi dire “tu hai il Parkinson”, non esiste “La risposta” o “La soluzione”. Esiste semmai una terapia strategica sistemica ed un percorso composto da vari passaggi ognuno da affrontare con l’aiuto di alcuni alleati.

 

Il dolore, la rabbia, l’ansia, l’angoscia

insonniaQuando da piccoli abbiamo imparato ad andare in bicicletta siamo sicuramente caduti e ci siamo sbucciati un ginocchio. Non per questo nostra madre o nostro padre ci hanno vietato di andare in bicicletta o ci hanno mandato in giro in bici con le protezioni da football americano ! È normale, la crescita passa anche per la sofferenza.

Concedetevi e concedete di vivere il dolore, la rabbia, l’ansia e l’angoscia. Offriamoci ed offrite un abbraccio silenzioso, asciugatevi ed asciugate le lacrime, offritevi ed offrite un bicchiere d’acqua.

Provare dolore, rabbia, ansia, angoscia è assolutamente normale.

Leggendo gli studi degli anni ’90 (link in inglese di Post Traumatic Grown) di Richard Tedeschi (link studi correlati in italiano) e Lawrence Calhoun  (link studi correlati in italiano) abbiamo scoperto che da allora si parla comunemente di Crescita Post Traumatica e che le emozioni negative che proviamo sono un passaggio temporaneo naturale ed obbligato per tutti noi. Non c’è modo di evitarle e non va neanche cercato un modo per evitarle. Nessuno può decidere di non provare tristezza o inquietudine.

mareintempesta

Possiamo navigare queste emozioni, come ci insegnano gli uomini di mare, possiamo tenere la prua della nostra barca verso le onde, possiamo cercare la Stella Polare per tenere la rotta, ma non possiamo opporci alle onde e dobbiamo anche essere disposti, perdonateci il linguaggio marinaresco, a navigare di bolina cioè ad assecondare il vento e le onde facendo un percorso che non è sicuramente il più breve ma è l’unico efficace. Riconducendo questo concetto al Parkinson e, ad esempio, ai disturbi del sonno spesso associati, “navigare di bolina” significa affrontare il problema in modo diverso.

L’insonnia può essere causata dai crampi alle gambe e questo è un fatto oggettivamente riconducibile al Parkinson in modo diretto (sintomo) o indiretto (effetto collaterale dei farmaci). Ma se l’insonnia è causata da uno stato di agitazione potrebbe essere riconducibile semplicemente alla nostra sana preoccupazione per il futuro, per un cambiamento che dobbiamo obbligatoriamente affrontare. Prendere subito un sonnifero ci farà probabilmente dormire ma non ci consente di crescere, ci fa convincere che solo con un farmaco potremmo risolvere i nostri  problemi, ci fa perdere autostima, potrebbe causarci degli effetti collaterali o delle interazioni con altri farmaci che altererebbero il quadro generale rendendo più difficile la gestione della malattia.

Con questo non vogliamo assolutamente contraddire gli studi di psicoterapia, diciamo solamente di non avere paura delle nostre emozioni, anzi liberiamole, esterniamole, non cerchiamo di contenerle perché sprecheremmo solo energie. Magari già solo riconoscendole ed accettandole proveremo sollievo e maggiore serenità con il rischio di dormire meglio !

Magari non ci riusciremo e ci faremo aiutare a livello farmacologico. Ma se ci riuscissimo? Avremmo la consapevolezza che possiamo farcela, aiutandoci con la relazione, con l’affetto dei nostri cari, con l’aiuto di un counselor, di uno psicologo, tutti alleati sani e privi di controindicazioni chimiche!

Il cambiamento

Ricevere una diagnosi di Parkinson è un terremoto che può far vacillare i palazzi o distruggerli fin dalle fondamenta. Siamo obbligati a rivedere le nostre credenze, le nostre convinzioni. Siamo obbligati a ricostruire dal basso verso l’alto. È il cambiamento. Uno dei percorsi più complessi che possa affrontare un essere umano.

Il nostro cervello elabora le scelte anche sulla base di primordiali istinti di autoconservazione.  Muoversi su terreni conosciuti: mangiare quello che ci ha fatto star bene, bere l’acqua che non ci ha avvelenato, non passare nel territorio di caccia di animali feroci, non toccare il fuoco per non bruciarsi, rientrare prima che faccia buio. In gergo aziendale si definisce “Area di confort”. Tutto ciò è assolutamente sano fino a quando non intervengono cambiamenti dello scenario. Quando questo avviene la sopravvivenza diventa funzione dello spirito di adattamento, della capacità di cambiare, diventa anche uno spunto creativo per trovare nuove soluzioni.

La creatività

La creatività è uno degli strumenti di cui possiamo avvalerci in un percorso di PTG (PTG – Post Traumatic Grown = Crescita Post Traumatica). Ci è piaciuta molto l’analisi della Dott.ssa Marie Forgeard (Traduzione in italiano di un articolo apparso sull’Huffington Post) della facoltà di Psicologia di Harward che citiamo letteralmente:

Siamo obbligati a riconsiderare le cose che abbiamo sempre dato per scontate, siamo costretti a pensare a cose nuove. Gli eventi negativi possono essere così forti da obbligarci a formulare domande a cui altrimenti non saremmo mai arrivati”.

Il “Senso”

È il momento cruciale: l’elaborazione del terremoto. Perché alcuni cominciano subito a togliere le macerie e ricostruire un nuovo palazzo ed altri rimangono inermi seduti sulle macerie?

resilienza520.pngAbbiamo chiesto a tutti i parkinsoniani più virtuosi cosa li ha aiutati nel loro processo di cambiamento. Molti ci hanno risposto : “perché ha più senso”.  Cosa è il “senso”?  È la percezione di una sensazione, è un qualcosa che abbiamo sentito profondamente ma non con le orecchie, piuttosto con la pancia. Approfondendo le nostre interviste le persone ci hanno dato anche risposte più concrete: “per i miei figli”, “per mio marito”, “perché in fondo non sto così male”, “perché il neurologo mi ha detto che con i farmaci potrò gestirlo”, “perché un mio amico ce l’ha da tempo e lo vedo bene”.  Noi pensiamo che il senso venga da una motivazione: gli affetti, le responsabilità, la fiducia, le credenze, l’esperienza.

Ci sentiamo di affermare che se avevamo chiaro il senso della nostra vita prima della diagnosi, allora probabilmente avremo chiaro il senso della nostra vita anche dopo la diagnosi, sapremo accettare la malattia e trovare creativamente dello soluzioni per affrontare il cambiamento. Se invece il senso della nostra vita non ci era completamente chiaro anche prima della diagnosi, allora faticheremo di più perché dovremo trovarlo, dovremmo capire cosa ci motiva ad affrontare i problemi che ci pone dinanzi il destino. Saremo costretti a fare i conti con noi stessi, a consapevolizzare. Per molti affrontare il Parkinson richiede un lavoro di analisi del proprio io,  della propria vita, che magari ci saremmo potuti evitare. Ma forse avremmo vissuto in modo incompleto.

La motivazione

È indispensabile  la motivazione, il vero carburante del cambiamento. Se ci troviamo nella condizione di non trovare il senso di affrontare la vita, il cambiamento, il Parkinson, allora abbiamo bisogno di guardarci intorno e magari di farci aiutare da chi ci vuole bene e/o di cui ci fidiamo e che possono aiutarci ad identificare la motivazione che in questo drammatico momento abbiamo perso.

Dobbiamo identificare degli alleati:

  • i nostri cari
  • il nostro neurologo
  • lo psicologo
  • una associazione

Loro ci aiuteranno a consapevolizzare e ci  offriranno, ognuno per la propria competenza, un mattoncino che insieme agli altri ci permetterà di gettare le basi per ricostruire i muri crollati.

Link di approfondimento in italiano :

 


Articolo scritto da Giulio Maldacea 

 

Il Parkinson e le emozioni: un fatto spiacevole diventa spunto di riflessione.

L’altra sera camminavo, malino perchè ero già in off pieno (fine effetto delle medicine), in una strada di periferia. Non c’era praticamente nessuno in giro, silenzio totale fatta eccezione per alcuni ragazzi fuori da un bar dall’altra parte della strada. Quando sono passato davanti hanno smesso di parlare tutti, non mi sono girato, ho fatto faticosamente altri pochi metri e sentivo le gambe più rigide, poi qualcuno ha detto qualcosa in dialetto e tutti hanno riso di gusto. Le mie gambe sono diventate di pietra e per arrivare, dovevo fare a malapena 150 mt, ci ho messo mezz’ora, sono arrivato sfinito, sudato fradicio, ansimante .

Elementi di riflessione :

1) I sintomi sono molto legati alla sfera emotiva e nessuno a scuola ci ha mai spiegato cosa sono le emozioni, come si gestiscono, come si leggono le nostre e quelle degli altri ma specialmente come si navigano. Non pensate di “gestirle” perchè non si può fare. Sarebbe ancora più funzionale capire quanto le emozioni siano contagiose. Per questo ho pensato di inserire tra i contenuti del sito dell’associazione che sto implementando una sezione intera dedicata all’Intelligenza Emotiva che sono sicuro l’amica Veru Gennari sarà fonte ricca di info e spunti;
2) Per un parky uscire di casa è un gesto epico : una barriera architettonica, una macchina parcheggiata sul marciapiedi, 4 deficienti che fanno una battuta, possono inchiodarti e quando esci lo sai. Quindi mi rivolgo ai caregiver : pensateci a questo, questo non significa che dovete trattarci come bambini ed accompagnarci per mano, sarebbe forse peggio, ma rispettate le nostre remore e metteteci nella condizione di affrontarle al meglio;
3) Per un caregiver vedere uscire di casa il proprio caro è una fonte di ansia, ce la farà ? si ricorderà di prendere le medicine ? e se si blocca ? se casca ? se qualcuno lo prende in giro ? Quindi mi rivolgo ai parky : a volte ci sembra che i nostri caregiver siano dei gran rompipalle ! Magari lo sono ma quando chiediamo loro di mettersi nei nostri panni facciamolo anche noi;
4) In merito a come gli altri ci vedono, ci giudicano, ci insultano, anche solo con uno sguardo di pena, invito tutti a prendere visione di questo video che mi ha passato la parky-guerriera Elisa Rovelli, come dice lei “torniamo umani, comunichiamo come forse non abbiamo mai fatto”, magari concedendoci di guardare le cose con gli occhi di un bambino:

La ricerca sulle cellule staminali: grazie alla Associazione Luca Coscioni è più facile distinguere tra la ricerca ed i “ladri di speranza”

Fonte: https://www.associazionelucacoscioni.it/… 

“Le chiamano le “cliniche della speranza” che con l’aiuto delle staminali promettono di sconfiggere dall’epilessia alla calvizie, dal Parkinson allo stress, dalla sclerosi multipla all’impotenza sessuale. Poco importa che i successi di queste cellule, in campo clinico, non siano ancora dimostrati. “Perché intorno a quelle che per ora sono solo ipotesi già prospera un mercato ricchissimo per pazienti disperati” avverte George Daley, presidente dell’International stemcell society, la società internazionale per la ricerca sulle cellule staminali.”

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