I diritti delle persone con Parkinson

La malattia di Parkinson è stata descritta per la prima volta 200 anni fa. Ad oggi non esiste una cura, non sappiamo quanti malati ci sono in Italia, non sappiamo dove sono, non sappiamo come vengono curati e di cosa hanno bisogno. 
Sappiamo che la malattia negli ultimi anni colpisce sempre di più anche i giovani e che i malati sono raddoppiati negli ultimi 8 anni.

Purtroppo la mancata conoscenza della patologia, i pregiudizi, la società moderna che non ammette ingranaggi più lenti ci ha portato a divenire una comunità di invisibili.

Ora però, grazie anche all’operato delle Associazioni e del Comitato Nazionale, vogliamo che le persone con Parkinson conoscano i loro diritti nei vari ambiti. Sicuramente dobbiamo lavorare ancora molto per ottenere un completo riconoscimento di quanto ci spetta ed una qualità dell’offerta terapeutica perlomeno esaustiva ma intanto conosciamo meglio i nostri diritti e facciamoli valere denunciando INSIEME eventuali difficoltà o ingiustizie.

Di seguito riportiamo i nostri diritti classificati in diversi ambiti :

 

Beviamo … responsabilmente ! Cosa e come dovrebbe bere una persona con Parkinson

Rispondiamo collettivamente alla domanda che molti ci pongono quotidianamente ed ancor più d’estate. Cosa e come dovremmo bere ?
Per prendere le medicine orali il consiglio che molti neurologi danno è acqua a temperatura ambiente o leggermente fresca – NON GHIACCIATA -. evitando cosi anche  spiacevoli conseguenze come la congestione.
Per le medicine solubili (ad esempio il Sirio® che si scioglie spesso male rimanendo in parte nel bicchiere o sul cucchiaino), è preferibile utilizzare acqua frizzante o gassata. Per chi prende la vitamina C tramite Cebion o Magnesio Supremo (in questo caso si suggerisce acqua tiepida) si può prendere contemporaneamente. Per chi soffre di tremore la difficoltà del Sirio® a sciogliersi può diventare un problema importante dato che il classico movimento rotatorio del cucchiaino risulta essere impossibile.
In questi casi, volendo risolvere autonomamente, abbiamo osservato due tecniche.
La prima è quella di impiegare due bicchieri uguali, usare il primo mettendo acqua e pastiglia solubile, poi versare il contenuto da un bicchiere all’altro fino ad avvenuto scioglimento.
La seconda soluzione l’abbiamo vista adottare dai parky “senior” che usano la  cannuccia per ovviare ai problemi di disfagia. Soffiando moderatamente nella cannuccia lasciata immersa nel bicchiere si  producono delle bolle che agevoleranno lo scioglimento del farmaco.
Alcuni parky trovano beneficio nell’assumere le dosi di Levodopa sorseggiando del Tè verde, in particolare la qualità giapponese “Matcha” in infusione.
Il Tè verde è ricco di sostanze – la L-Theaina in primis – che agevolano la produzione di Dopamina.
Alcuni “colleghi” d’estate preparano al mattino una bottiglia da un litro o due con due o quattro bustine di Tè verde – o equivalente in infusione – che usano nel corso della giornata.

D’estate il quantitativo minimo di liquidi da assumere è di 2 litri. Questo è fondamentale per evitare la diminuzione di efficacia dei farmaci tipicamente segnalata nei mesi estivi.
Le bevande alcoliche sono fortemente sconsigliate perchè possono ridurre sensibilmente l’effetto benefico dei farmaci e di alcune integrazioni come la vitamina B1.
Sono altresì sconsigliate tutte le bevande ghiacciate e molto gassate perchè possono complicare la fase digestiva ed arrecare danno all’apparato digerente che per noi è molto importante mantenere in perfetta efficienza visto che è la via attraverso il quale assimiliamo i farmaci.
Riportiamo infine il consiglio dei “tre bicchieri” : per accelerare l’entrata in azione delle medicine assunte oralmente si suggerisce di bere tre bicchieri in sequenza dopo aver ingoiato la pasticca, l’acqua le farà superare più rapidamente lo stomaco facendola entrare nell’intestino tenue dove avviene effettivamente l’assimilazione.
Per i parky che hanno problemi nella deglutizione (disfagia) ricordiamo che :
  • la prima cosa è la posizione durante la deglutizione : busto eretto, piedi ben poggiati a terra e possibilmente avambracci appoggiati sui braccioli
  • l’ambiente deve essere accogliente, luminoso e deve mettere a proprio agio la persona
  • chi assiste deve trovarsi di fronte ed alla stessa altezza degli occhi
  • sono sconsigliati tutti gli alimenti che hanno consistenza mista (liquida, cremosa e solida)
  • le bevande liquide possono essere  assimilate tramite una cannuccia magari di dimensioni generose
revisione testo  a cura di Valeria Bastoncelli

Exenatide : farmaco anti-diabete sembra avere effetti benefici anche nella terapia del Parkinson – l’analisi di WeAreParky.

NEWS : Il parere della dott.ssa Morgante (13/09/20117)
“Il Prof. Foltynie ha fatto uno studio preliminare su pochi pazienti che l’ha portato a teorizzare che l’exenatide potesse essere un farmaco che rallenta la progressione di malattia (ossia neuroprotettivo). Da qui ha fatto questo studio su Lancet per capire comparato al placebo l’effetto dell’exenatide. Ora si vede che i pazienti che sono in terapia con Exenatide per un anno hanno una stabilità del loro UPDRS (che migliora di 1 punto, ossia è irrilevante), ossia la scala usata per valutare il Parkinson. Mentre quelli in palcebo hanno un peggioramento di 2 punti (che è la media del peggioramento dell’UPDRS se il Parkinson non è trattato). Loro stessi scrivono che non sanno se ciò si deve ad un vero effetto neuroprotettivo oppure sintomatico, ossia che exenatide funziona lievemente sui sintomi parkinsoniani. Una cosa simile successe con Jumex ed Azilect per cui gli entusiasmi furono molto elevati, poi si capiì che avevano solo effetto sintomatico.

Quindi, questa è un ricerca interessante, ma non ci sono dati per dire che exenatide blocca il Parkinson. In atto ci sono sperimentazioni sull’uomo con un razionale molto più forte di exentide nel rallentare la malattia, come gli anticorpi monoclonali control l’alfa-sinucleina. Tale sperimentazione sarà presto iniziata in centri italiani.

Spero di essere stata chiara e ti spiego cosa ho scritto ai miei pazienti. Se già fanno exenatide per il diabete, ovviamente continuatela. Ma non si può prescrivere questo farmaco a pazienti non diabetici sulla base del fatto che si è fatto uno studio su 60 persone al mondo e che fra l’altro per dirti la verità non è che stia presentando questi risultati pazzeschi.”

La notizia originale viene riportata dal portale Lancet.com (link ufficiale) il 3 agosto 2017 che in verità riporta l’esito di un trial (una sperimentazione) realizzata tra giugno 2014 e marzo 2015 su 62 pazienti con uno stadio di avanzamento medio della malattia di Parkinson. Lo studio (fase II) è durato in tutto 60 settimane. A 32 pazienti selezionati in modo casuale è stato chiesto di autosomministrarsi  una dose di 2 mg a settimana di Exenatide tramite iniezioni sottocutanee in aggiunta alla terapia abituale che non è stata modificata. Agli altri 30 pazienti è stato invece fornito un placebo. I test sulla presenza dell’exenatide sono stati fatti sia a livello ematico che di liquido spinale. Sono stati effettuati inoltre rilevamenti tramite scale cliniche (UPDRS II) e scansioni dell’attività dopaminergica (DatScan), fonte Michael J Fox Fundation che ha finanziato lo studio, il cui obiettivo era fornire una piattaforma per uno studio finale di Fase III che ad oggi non è stato ancora avviato.
Lo studio ha evidenziato un evidente miglioramento della sintomatologia e di fatto non sono stati evidenziati eventi avversi seri riconducibili direttamente alla sperimentazione. Gli autori dello studio nelle conclusioni dichiarano : “NON E’ CHIARO se l’exenatide influenza la patofisiologia (sintomi) o se ha effetti a lungo termine sulla patologia vera e propria (cioè se arresta la neurodegenerazione)”.

In realtà gli studi sul “riposizionamento” dell’exenatide sul Parkinson si svolgono dal lontano 2009 quando sono stati fatti i primi esperimenti sugli animali (Fase I) dalla Astrazeneca e dalla Bristol Meyers Squibb sui farmaci Byetta® e Bydureon®, in particolare all’epoca si rilevò un potenziale effetto neuroprotettivo nella terapia del Parkinson e delle ischemie, effetto dovuto alla stimolazione del ricettore GLP-1.

Abbiamo inoltre trovato uno studio del 2014 (Aviles-Olmos) che rileva effetti positivi sulla sintomatologia anche nei successivi 12 mesi alla fine della somministrazione. Questo è l’unico rilevamento che fa ben sperare su eventuali effetti “a lunga durata”.

L’Exenatide è la cura per il Parkinson che aspettavamo ?

La risposta migliore a questa domanda l’ha fornita chi “ha tirato fuori i soldi”, il dr. Weiner della MJFF :

“I risultati dello studio sono stimolanti ma i dati non sono sufficientemente “robusti” per dichiarare che la exenatide possa avere effetti benefici nella terapia del Parkinson. Per definire la exenatide sicura ed efficacia nella terapia del Parkinson serve uno studio più vasto e multicentrico ben progettato. Il meccanismo di funzionamento dell’exenatide e di medicine similari (come liraglutide e lixisenatide), così come rilevato da precedenti studi, li rende interessanti come obiettivi da approfondire. Finché non verrà però chiarito il ruolo potenziale di queste sostanze nell’ambito del Parkinson, i pazienti sono fortemente sconsigliati di aggiungerli alle loro terapie.”

Lo studio completo originale

Al seguente link potete scaricare il PDF completo dello studio originale.

Ma se funzionasse la terapia basata su exenatide quanto costerebbe in Italia ?

Un kit con 4 penne da 2 mg l’una di Bydureon® attualmente costa circa 500,00 €, sulla base dello studio si renderebbe necessario un kit al mese.

bydureon_pen_imageAd oggi non esiste un “generico” di questi farmaci. Si vocifera di un generico del Byetta® che però non ha la caratteristica di lento-rilascio che invece ha il Bydureon®, per questo Byetta® richiede due iniezioni al giorno.

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Quando la Fase III ? Chiedetelo a Trump !

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Il farmaco è già sul mercato approvato dalla FDA per la terapia del diabete. Quindi ha già seguito l’iter di approvazione fino alla Fase III. Secondo il “21st Century Cures Act” tanto voluto dall’amministrazione Obama e tanto avverso dal nuovo presidente USA, Donald Trump, la fase III in questi casi di “riposizionamento” non sarebbe strettamente necessaria consentendo di comprimere Fase II e III in un unico processo che potrebbe coinvolgere un gruppo di “soli” 1-300 pazienti. Questo ridurrebbe moltissimo sia i costi che i tempi di approvazione del farmaco da parte di FDA per la malattia di Parkinson.

Resterebbero da valutare i reali effetti benefici ed a corto-medio-lungo termine sulla patologia. Fonte : The Science of Parkinson’s disease

Il pensiero di WeAreParky : cura o terapia ?

L’obiettivo della maggior parte delle ricerche condotte sulla malattia di Parkinson è finalmente focalizzato sulla ricerca di una cura.

Cura e terapia hanno due significati ben diversi :

  • La cura mette fine alla patologia, cioè si “guarisce”
  • La terapia aiuta a gestire la patologia agendo in modo benefico sui sintomi

Parlando però di malattia neurologica la cosa diviene ancora più complessa perchè come sappiamo le cellule nervose una volta danneggiate non possono essere riparate. Questo significa che anche se fermassimo la neurodegenerazione, i danni fatti restano, possiamo ovviamente sempre lavorare sulla riabilitazione.

Nel caso della malattia di Parkinson, dove la popolazione colpita si trova in diverse fasi della malattia – che vanno da coloro che non sono ancora a conoscenza della loro condizione (pre-diagnosi) a quelli in stadi più avanzati della malattia. La discussione di una “cura per la malattia di Parkinson” deve essere quindi focalizzata a livello temporale.

In parole semplici : ipotizziamo che tutto vada bene ossia che la fase III determini che l’Exenatide funzioni bene agendo sui sintomi e fermando o rallentando la neurodegenerazione senza avere effetti collaterali importanti. Si configurano due significati ben diversi :

  • Per un neodiagnosticato avremmo la cura.
  • Per gli altri avremmo una terapia farmacologica che ferma la neurodegenerazione interrompendo il peggioramento dei sintomi

Il parere dei neurologi italiani

Abbiamo chiesto a molti amici neurologi cosa ne pensano, speriamo di poter pubblicare presto le loro risposte.

 

Tutte le Associazioni Parkinson delle Regioni e Città Italiane

Non era mai stato fatto. Esistevano elenchi di Associazioni ma limitati all’appartenenza a talune confederazioni o gruppi. Noi di WeArePrky crediamo nella condivisione e pensiamo che il nostro parkinson sia uguale a quello di tutti gli altri fratelli e sorelle parky che combattono ogni giorno per avere una qualità di vita migliore. Per questo motivo, con fatica, abbiamo realizzato questo censimento trasversale e nazionale. Il censimento si riferisce alle associazioni costituite in forma no-profit. Inviatiamo a controllare l’elenco e comunicarci tempestivamente aggiornamenti o nuovi inserimenti da fare. L’iscrizione OVVIAMENTE è gratuita e non comporta alcun onere.

RINGRAZIAMO TUTTI I VOLONTARI
CHE SI SONO ADOPERATI PER LA REALIZZAZIONE DELL’ARCHIVIO.

Link all’archivio aggiornato nazionale della Associazioni Italia_piantina

“UN ELEVATO USO DI LATTICINI AUMENTA DEL 60% LA POSSIBILITA’ DI CONTRARRE IL PARKINSON”.

Il titolo apparso su varie testate tra il 2015 ed il 2016 secondo noi è FALSO ! Una fake news per distogliere l’attenzione da una verità ben peggiore.

Non è una novità, già nel 2008, e sottolineo “2 0 0 8” , uno studio (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2232901/) molto approfondito che ha seguito 130.000 persone per 9 anni aveva dimostrato in modo netto e chiaro la correlazione diretta tra un consumo elevato di latticini e l’insorgenza di varie patologie, tra cui il Parkinson. Faccio presente che ci sono studi precedenti ma prendiamo per buono questo vista l’ampia corte di dati.

A dicembre 2015 è stato pubblicato uno studio condotto a partire dagli anni 80, per -trenta anni – su circa 500 pazienti. Questo studio (http://neurosciencenews.com/signs-of-parkinsons-linked-to-pesticides-found-in-milk-in-early-80s/) ha dimostrato che bastano due bicchieri al giorno di latte contaminato da pesticidi per arrecare danni importanti alle cellule celebrali (si parla del 40% in meno di funzionalità).

Quindi per fare informazione CORRETTA e indipendente dai dettami del consumismo, il messaggio completo è : almeno da un paio di decenni ci stiamo avvelenando sistematicamente alimentandoci con alimenti pericolosi regolarmente venduti nei supermercati. Questo vale per il latte ma in realtà vale per tutti i prodotti legati alle coltivazioni ed ai pascoli che alimentano gli animali di cui poi mangiamo la carne. Ma ovviamente nessuno lo dirà mai apertamente, perchè ammettere una cosa del genere sarebbe come dichiararsi colpevoli di tutte le sofferenze e le morti causate dall’inquinamento. Quindi per comodità del momento si incolpa il latte, ma non è IL LATTE il problema.

A conferma di queste considerazioni è possibile analizzare le statistiche sulle principali cause di morte in Europa (http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Causes_of_death_statistics/it), noterete che gli incidenti stradali e le malattie cardiache grazie alle tecnologie, all’avanzamento della conoscenza ed alla prevenzione sono diminuite e continuano a diminuire, così come migliora, anche se lievemente, il cancro. Solo l’incidenza delle patologie del sistema nervoso è inesorabilmente in aumento costante (studi aggiornati a giugno 2016).

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Questo nonostante i milioni di euro e di dollari raccolti per la ricerca scientifica, ma a cosa serve la ricerca se non dichiariamo e affrontiamo la causa ?

“La diffusione del Parkinson è in costante aumento e l’età di esordio sta scendendo progressivamente perchè i diagnosticati di oggi sono almeno 30 anni che stanno inconsapevolmente assumendo sostanze tossiche e vivendo in un ambiente insano”.

Frutta, verdura, uova, carne, latte, se fossero sani probabilmente non contribuirebbero all’insorgenza del Parkinson o il cancro o altre patologie, o almeno non con questa frequenza. Così come vivere in un ecosistema sano, dove l’aria e l’acqua non sono appestate da prodotti chimici, probabilmente ridurrebbe di molto il rischio di ammalarsi, non a caso il Parkinson in Francia è considerata una patologia professionale per gli operatori agricoli (articolo di approfondimento).

Questa è la mia personale ipotesi come paziente attivo, suffragata da dati e studi ufficiali, sicuramente contestabile, attendo feedback autorevoli. 

Giulio Maldacea – Presidente dell’Associazione WeAreParky ONLUS

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Impiegano troppo tempo i nuovi farmaci per il Parkinson?

Introduzione

Pochi giorni fa la testata Panorama pubblicava un articolo dal titolo “Parkinson: in arrivo nuove cure per bloccare la malattia” basato su una intervista del prof Alberto Albanese. Il buon Moretti insegna “… le parole sono importanti !” e “in arrivo nuove cure per bloccare la malattia” su una persona affetta da una malattia neurodegenerativa – per cui ad oggi non esiste una cura sana – sono parole molto potenti, piene di speranza. “In arrivo” ci riporta all’annuncio dell’altoparlante nella metro, due minuti, cinque, massimo dieci. Scorrendo l’articolo si parla di 1 o 2 anni, accettabile, ma magari ! Mi soffermo poi sul virgolettato di Albanese : “Vi saranno novità da tre differenti linee di ricerca. La prima è quella genetica. Cominceranno le sperimentazioni di virus geneticamente modificati sull’uomo capaci di inserire geni che curano i sintomi e forse bloccano l’evolversi della malattia”. Tradotto significa che nella migliore delle ipotesi siamo in fase preclinica, poi ci saranno le tre fasi dei test clinici, la revisione e l’approvazione delle agenzie per i farmaci per poi immettere il farmaco sul mercato con un periodo di vigilanza. Considerando che parliamo di un virus modificato geneticamente se tutta va bene parliamo di minimo 15 anni, forse, con una ottima percentuale che il farmaco non risponda come previsto e che quindi venga sottoposto a revisioni o completamente abbandonato. Mi ritorna in mente il titolo “… in arrivo nuove cure per bloccare la malattia”.


Le persone con Parkinson, come tutti i pazienti con malattie inguaribili e progressive, vorrebbero che il ritmo di scoperta e di disponibilità dei nuovi farmaci fosse abbastanza veloce in modo da poter arrivare a beneficiarsi del trattamento in vita.

Purtroppo, il numero e la frequenza di sviluppo di nuovi farmaci è sempre considerato insufficiente (non senza ragione) per coloro che vedono la loro salute che si sta deteriorando giorno dopo giorno irrimediabilmente.

Perché ci mettono così tanto i nuovi farmaci ad arrivare ai pazienti? Diamo un’occhiata alle fasi di questo processo per capire un poco meglio il passaggio dall’interesse per un composto o una molecola fino a che non diventa disponibile per il trattamento di una malattia specifica e con una posologia definita.
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Lo sviluppo di farmaci comprende verificarne la sicurezza, l’efficacia, la formulazione e produzione. Normalmente, gli studi di sicurezza iniziano con vari esperimenti chiamati studi preclinici. Quando questi studi confermano che il candidato a farmaco è sicuro, ha inizio la valutazione negli esseri umani in una serie di studi noti come studi clinici.

Gli studi preclinici sono prove che vengono realizzate in un contesto d’uso controllato scientificamente di colture cellulari e modelli animali. Lo scopo di studi preclinici è quello di prevedere come agisce l’organismo sul farmaco in studio (farmacocinetica), come agisce il farmaco in studio sul corpo (farmacodinamica) e se il candidato a farmaco può comportare rischi potenziali per la salute o effetti collaterali tossici.

Per far sì che un nuovo farmaco o una terapia divengano di uso generale, è necessario un rigoroso iter di sperimentazione. Si tratta di esperimenti programmati, che hanno lo scopo di valutare il trattamento più appropriato di pazienti affetti da una determinata condizione.

Tale iter è rappresentato da una serie di passaggi obbligatori: ovvero gli stadi successivi che compongono la sperimentazione clinica e permettono di affrontare e risolvere incognite riguardanti la sicurezza (tossicità, tollerabilità), la posologia (dose e via di somministrazione) e, l’utilità clinica, inclusi i vantaggi rispetto ad eventuali farmaci già in commercio per le stesse indicazioni terapeutiche, del nuovo farmaco.

Si parla di studi clinici di fase I, II e III, definiti studi preregistrativi. Questi vengono utilizzati per richiedere alle autorità competenti la registrazione del nuovo farmaco, ossia l’autorizzazione alla commercializzazione ed alla prescrizione, o l’autorizzazione all’utilizzo per nuove indicazioni terapeutiche se il farmaco è già in commercio.

FASE I. Il primo passo nella sperimentazione di un nuovo farmaco è quello di determinare la sicurezza di singole dosi singole in un piccolo numero di volontari sani. Questa fase aiuta i ricercatori a capire alcuni aspetti su come funziona il farmaco in questione e si stabilisce anche il dosaggio da utilizzare successivamente.

FASE II. Se il trattamento risulta essere sicuro, iniziano studi per determinare l’efficacia del farmaco nel persone con la condizione da trattare. Questi studi possono durare diversi mesi o anni e coinvolgere un numero maggiore di persone. Lo studio potrà essere:

  1. a) controllato: il farmaco viene confrontato con un trattamento standard o placebo;
  2. b) doppio cieco: né i ricercatori né i partecipanti sanno quale trattamento sono ricezione;
  3. c) randomizzato: i partecipanti sono assegnati in modo casuale a ricevere un trattamento attivo o placebo

FASE III. Se un farmaco mostra efficacia, viene condotto uno studio più ampio. Questi studi clinici possono essere condotti in diversi centri (multicentrici) e in diversi Paesi, e possono durare diversi anni. Tali studi consentono ai ricercatori di valutare con maggiore precisione il potenziale del nuovo farmaco in una più ampia gamma di persone e confrontarlo con i trattamenti esistenti.

Autorizzazione EMA (European Medicines Agency). I dati di tutte le fasi precedenti e i risultati degli studi clinici vengono presentati all’autorità di regolamentazione competente. Se le autorità decidono che il nuovo farmaco è efficace, sicuro e incontra gli standard di qualità, viene rilasciata l’autorizzazione all’immissione in commercio o di licenza.

Autorizzazione AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco). Successivamente all’autorizzazione da parte dell’EMA, l’Agenzia Italiana del farmaco opera le sue valutazioni fornendo le indicazioni specifiche per l’utilizzo di quel determinato farmaco.

Enti locali. L’iter di approvazione che porta le terapie alle persone si conclude solo quando anche le singole regioni ed in alcuni casi le singole ASL inseriscono nei loro prontuari il nuovo farmaco. In genere in questa fase viene anche attuato uno specifico piano di farmacovigilanza.

In media, ci vogliono tra i 10 ed i 15 anni per completare diverse fasi della fase di sviluppo di un farmaco. La maggior parte dei farmaci sperimentali non arrivano mai al mercato.

Articolo scritto da Fulvio Capitanio – Unidos contra el Parkinson
https://www.facebook.com/unidoscontraelparkinson

Introduzione di Giulio Maldacea – Vice Presidente Comitato Italiano Associazioni Parkinson

Guida Agevolazioni persone con disabilità 

Grazie alla segnalazione di una caregiver riportiamo di seguto il link per scaricare la guida ufficiale ed aggiornata a gennaio 2017 predisposta dall’Agenzia delle Entrate dedicata alle persone  con disabilità.

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In particolare le agevolazioni sono :

  • detrazioni IRPEF per figli a carico
  • agevolazioni per l’auto : detrazione Irpef,  Iva agevolata al 4%, esenzione dal bollo auto, esenzione dall’imposta di trascrizione sui passaggi di proprietà
  • detrazione Irpef del 19% della spesa sostenuta per i sussidi tecnici e informatici
  • Iva agevolata al 4% per l’acquisto dei sussidi tecnici e informatici
  • detrazione Irpef delle spese sostenute per la realizzazione degli interventi finalizzati all’abbattimento delle barriere architettoniche
  • deduzione dal reddito complessivo dell’intero importo delle spese mediche generiche
  • deduzione dal reddito complessivo degli oneri contributivi
  • detrazione Irpef del 19% delle spese sostenute per gli addetti all’assistenza personale

Ricordiamo che alcune agevolazione sono sottostanti alla reale disponibilità di soldi dell’organo di competenza territoriale che vi può rispondervi : “Lei ha diritto a questa agevolazione ma non posso erogarla perchè abbiamo esaurito il budget annuale.”


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Scarica gratuitamente la “Guida Agevolazioni persone con disabilità” aggiornata a  gennaio 2017 direttamente dal sito della Agenzia delle Entrate

Sail4Parkinson : una ciurma di parkynsoniani in barca a vela

Anche quest’anno ci si prepara a partire con il progetto Sail 4 Parkinson, una attività ricreativa e terapeutica pensata e voluta dal parkinsonologo Dr. Nicola Modugno per mezzo della Associazione Parkinzone ONLUS con la quale collaboriamo oramai da 3 anni.

Il Progetto

Sailing Parkinson nasce dall’idea di tre amici, appassionati di mare e di Sardegna, che hanno unito le loro competenze professionali e le passioni della loro vita, per proporre questo progetto sperimentale che vuole affiancare alle cure tradizionali e farmacologiche, lo stimolo fisico, emozionale e psicologico che proviene dal contatto col mare, attività particolarmente significative da svolgere in contesto marino ed in particolare la navigazione a vela.

L’obiettivo preposto è quello di offrire questa esperienza ad un gruppo ristretto di pazienti affetti da malattia di Parkinson.

Come noto le terapie farmacologiche, chirurgiche e riabilitative della malattia di Parkinson riescono a migliorare i sintomi motori della malattia e la loro gestione ma sono meno efficaci su tutto il corteo dei sintomi di natura non motoria. Tra i sintomi non motori quelli di natura cognitiva e psicologica riescono in maniera sorprendente ad aggravare i sintomi motori creando difficoltà apparentemente inspiegabili e di difficile soluzione.

I lavori scientifici dell’ultimo decennio e le esperienze cliniche hanno dimostrato che le attività sportive e artistiche praticate in maniera costruttiva e coinvolgente sono in grado di migliorare sensibilmente la gestione di sintomi come per esempio apatia, ansia, depressione, paura nonché le alterazioni posturali e i disturbi della coordinazione motoria che influiscono in misura considerevole sulla qualità della vita dei pazienti.

Crediamo che una seppur breve esperienza di attività in mare, in un contesto spettacolare, possa costituire in primis la vacanza ideale per un paziente parkinsoniano e secondariamente un’esperienza costruttiva ed utile a rinforzare le difese e migliorare lo stato psicofisico di ogni paziente.

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Come

Il progetto che ha durata di una settimana prevede l’introduzione e la pratica della vela d’altura su due bellissime barche a vela classiche timonate da Daniela e Giangi.

Nel corso della settimana, attraverso lezioni teoriche e pratiche di difficoltà progressivamente crescente, i partecipanti impareranno i principi di base della vela e della navigazione in mare effettuando operazioni, nodi marinari e manovre veliche sempre più complesse.

Nelle ore libere dalla vela tutti i partecipanti potranno praticare attività sportive possibili, come il nordic walking, sup o snorkeling, sotto l’esperta guida di Giangi e l’aiuto di Daniela e Nicola. Il gioco, il movimento ed il mare saranno la caratteristica prevalente delle ore libere dalla vela.

Preparare la barca, adugliare una cima, girare la manovella di un winch, issare e ammainare vele, cazzare e lascare le scotte, chiudere e aprire nodi, impugnare la pagaia del SUP e le bacchette del nordic walking. Sette giornate intense all’aria aperta sugli scorci di paesaggi mozzafiato che stimoleranno continuativamente i pazienti nella gestualità, manualità, equilibrio e concentrazione, situazioni di necessità e problem solving.

Attività, situazioni e contesti pensati e calibrati per essere vissuti da ciascuno come propedeutici all’attività in barca vela e soprattutto per essere acquisiti come programma personale di allenamento fisico e mentale da far rientrare abitualmente tra le proprie motivazioni e attività quotidiane, per determinare reazioni forti alla limitazione della libertà di movimento che la malattia infligge loro, rendendoli via via consapevoli di potenzialità nuove o sottovalutate, in un percorso che li porterà nel giro di una settimana, a gestire in sufficiente autonomia la vela , il SUP, l’escursione e soprattutto sè stessi.

Con lo spirito dell’equipaggio anche sulla terraferma si vivrà insieme agli operatori in due graziose casette sul mare, vicine ai luoghi dove verranno svolte le attività, coinvolgendo tutti i partecipanti anche nella preparazione dei pasti da realizzarsi con i prodotti dell’orto, delle vicine peschiere ed allevamenti ed ingredienti biologici e rigorosamente locali, rinomati per la loro bontà.

Tagliare, lavare, affettare, sbucciare, girare, impastare ancora come stimolo di manualità e concentrazione consapevole, tutti aiutano per tutti, finalizzato a creare rapporti di condivisione e scambi anche culturali, energia, gioia, benessere dalle piccole cose di ogni giorno.

Tutti i partecipanti verranno sottoposti a valutazioni cliniche all’arrivo, alla partenza e durante i percorsi proposti, verranno raccolte le loro interviste e l’esperienza verrà documentate con strumenti audiovisivi per finalità di studio e ricerca.

Destinatari

Vista la tipologia delle attività che verranno svolte e la forte presenza di casi di Parkinson giovanile al di sotto della fascia di età di 50 anni il progetto pilota verrà aperto a pazienti di età tra i 25 e i 65 anni.

Date, costi e modalità di partecipazione

L’edizione 2017 della Sail 4 Parkinson si svolgerà in Sardegna l’ultima settimana di giugno 25/06 – 01/07. Luoghi di svolgimento : Area Marina Protetta di Sinis, Cabras-Capo Mannu.

Costo di partecipazione : € 1.500,00 | Accompagnatore : € 800,00

slide-sail4p-2017-1Per maggiori informazioni contattare

Daniela Meloni + 39 392.4812458 – Tiziana Giloni +39 329.8451017

mail : dani.melo.or@gmail.com

Scarica la brochure completa : slide-sail4p-2017

La storia della Levodopa. Un vero thriller che dura da 110 anni.

La Levodopa (o L-Dopa) è di fatto il principio cardine nel trattamento dei sintomi del Parkinson.  La terminolmogia medica lo definisce “golden standard” o farmaco di prima scelta. 

La storia della L-Dopa è ricca di coincidenze e colpi di scena, incredibilmente per tanti anni è stata una medicina “orfana di patologia”, nel senso che chi l’aveva sintetizzata non sapeva come impiegarla, si era capito che per le sue peculiari caratteristiche poteva essere molto utile ma non si capiva il reale campo di applicazione.

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Le ricerche di Torquato Torquati, un farmacologo di Sassari, sulla Vicia Faba (una fava verde) nel 1913 lo porteranno ad identificare una strana sostanza contenente azoto. In quegli stessi anni il dott. Guggenheim che lavorava per una società farmaceutica svizzera Hoffman-La Roche, all’epoca una piccola azienda da 150 dipendenti, venne a conoscenza dei risultati di Torquati e grazie ai fondi messi a disposizione dall’azienda portò avanti le ricerche arrivando ad identificare la Levodopa vegetale presente nelle fave.

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Fritz Hoffmann

1912. Una coincidenza incredibile

Il lavoro fu agevolato dalla coincidenza che il fondatore della Roche, Fritz Hoffmann, fosse un estimatore culinario della fava stessa e ne mise a disposizione grandi quantità e varietà. Il processo di estrazione ne richiede infatti quantità minima di 10 Kg e la fortuna volle che il sig. Hoffmann era proprietario di una estesa coltivazione proprio ai confini della Roche.

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Il dott. Guggenheim

Estratta la sostanza Guggenheim cominciò a cercare un impiego terapeutico per dare un senso commerciale alla sua ricerca. Tentò prima di impiegarla come antibatterico ma i test condotti su cavie animali non diedero risultati. Condusse altri test, tutti infruttuosi. Disperato nel 1915 inghiottì 2,5 grammi di L-Dopa assoluta, una quantità enorme non tollerabile dal corpo umano, infatti si sentì male dopo pochi minuti colpito da convulsioni e vomito che lo porterà a dichiarare che aveva pensato di morire. La sua goffaggine lo porta anche a provocare un grave incidente di laboratorio a causa del quale perderà completamente la vista. Riprenderà le ricerche nel 1918 coadiuvato dalla sua assistente, la signorina Schramm, la quale gli “presterà” di fatto la vista, leggendo tutto quello che desiderava e scrivendo i risultati sotto dettatura. Nel primo trattato di 376 pagine “Le ammine biogene” la L-Dopa fu citata solo due volte vista la “inutilità” commerciale.

Nel 1920 finalmente si riuscì a sintetizzare industrialmente la Levodopa che fu messa a disposizione dei ricercatori di biochimica. All’epoca si era compresa la relazione tra levodopa ed adrenalina e la formazione della melanina senza però scoprirne il ruolo biologico. Passarono ancora 30 anni e nella quarta edizione del suo trattato che oramai è arrivato a 650 pagine, Guggenheim completamente scoraggiato, definisce la L-Dopa : ”orfana senza alcuna indicazione apparente”.

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Una rarissima foto dei laboratori de La Roche degli  anni ’50

1960. La Benserazide – un altro orfano

Negli anni ’60 la Roche cercava di mettere a punto un farmaco per il controllo dell’ipertensione arteriosa, nell’ambito di tali studi si mise a punto la Benserazide – molecola Ro-4-4602 – uno dei più potenti inibitori della decarbossilasi che, sulla carta, avrebbe dovuto consentire un migliore controllo della pressione sanguigna dell’uomo. I test però purtroppo furono negativi e la Ro-4-4602 venne abbandonata come progetto.

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Il dott. Birkmayer a sinistra ed il dott. Hornykiewicz a destra

1961. La Levodopa trova un impiego

Nel 1961 Walther Birkmayer utilizzò la levodopa per il trattamento di alcuni pazienti parkinsoniani dietro suggerimento dei biochimici Ehringer e Hornykiewicz, che avevano riscontrato un basso contenuto di dopamina nel cervello di pazienti deceduti per la malattia di Parkinson.

Visti gli effetti spettacolari ottenuti, Birkmayer si recò a Basilea per convincere la società Roche a produrre la levodopa su larga scala e ad intraprendere studi clinici più allargati.

La casa farmaceutica Roche aderì alla richiesta nonostante i risultati ottenuti da Birkmayer fossero contestati da vari ambienti scientifici che subivano spinte economiche ed invidie accademiche, le stesse che suggerirono di somministrare ai pazienti, insieme alla levodopa, un po’ di benserazide. La potente inibizione della decarbossilasi esercitata dal farmaco avrebbe dovuto impedire la trasformazione della levodopa in dopamina e quindi annullare ogni effetto clinico. Grande sorpresa quando, dopo qualche tempo, Birkmayer riferisce che non solo la benserazide non ha diminuito l’attività della levodopa, ma che anzi l’ha notevolmente aumentata. 

Dovranno passare altri 6 anni prima che il ricercatore biochimico Giuseppe Bartolini definirà meglio l’interazione della Benserazide nella trasformazione della L-Dopa in dopamina, fu lui infatti a chiarire per primo la caratteristica della Benserazide di non attraversare la barriera ematoencefalica e quindi di poter “accompagnare sana e salva” la L-Dopa fino alla emobarriera.

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Il Dott. Cotzias nel suo laboratorio negli USA

Nel 1970 gli studi condotti negli USA dal dott. Cotzias convinceranno finalmente la Roche a rendere disponibile la L-Dopa sul mercato. In questo video dell’epoca si può vedere uno dei primi pazienti trattati con L-Dopa : 

Tra il 1970 ed il 1973 furono fatti gli studi necessari a determinare il rapporto esatto tra Benserazide e L-Dopa per assemblare un farmaco che includesse entrambi i principi.

1973. Immissione sul mercato di Madopar e Sinemet

Nel luglio del 1973 viene immesso sul mercato il Madopar e pochi mesi dopo il Sinemet. In Italia i farmaci furono autorizzati poco dopo, a febbraio del 1974 il Madopar e ad ottobre dello stesso anno il Sinemet.

Da allora i due farmaci non hanno subito praticamente variazioni se non che nel 1986  vengono immesse sul mercato le versioni a rilascio modificato, il Madopar HBS e Sinemet CR, che dovrebbero garantire un assorbimento più lento e quindi con curve più morbide e minori problemi di Off. In realtà l’esperienza clinica ha evidenziato che i subprocessi di rilascio modificato sono estremamente soggettivi ed anzi a volte causano problemi di “accumuli” che rendono le fasi di On ed Off ancor più difficili da gestire.


Articolo scritto originariamente dalla redazione dell’Associazione WeAreParky ONLUS. Successivamente l’articolo è stato revisionato e verificato dal Dott. Fabrizio Angeloro
Molte delle immagini e delle notizie citate sono state fornite da utenti della comunità internazionale https://healthunlocked.com/cure-parkinsons